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Fondazione Stava 1985, per non dimenticare la difesa del territorio

luglio 15, 2015 Campioni d'Italia, Rubriche

Elaborare il lutto dopo una catastrofe ambientale, causata dall’uomo, che ha provocato 268 vittime e distrutto un intero paese, non è un’operazione semplice. Ci sono riusciti gli uomini e le donne della Fondazione Stava 1985, che dopo 30 anni  dalla tragedia – il 19 luglio 1985 – di cui quest’anno si celebra il trentennale, hanno coltivato la memoria storica, hanno trasformato dolore e rabbia in atteggiamenti costruttivi, per aumentare la consapevolezza sulla necessità della messa in sicurezza del territorio.  Per parlare dell’attività della Fondazione è necessario partire dal ricordo della tragedia, perché il disastro di Stava, a differenza del Vajont, è purtroppo sconosciuto alla gran parte degli italiani, una delle tante “rimozioni collettive” della nostra comunità nazionale.

Alle 12. 22′ 55”  del 19 luglio 1985,  nel paese di  Stava, in Trentino, cede l’argine del bacino superiore di una conca di decantazione di materiale minerario, che provoca ulteriori crolli  e libera una massa fangosa composta da sabbia, limi ed acqua  che scende a valle ad una velocità di quasi 90 chilometri orari e spazza via persone, alberi, abitazioni e tutto quanto incontra, fino a raggiungere la confluenza con il torrente Avisio. Muoiono 268 persone,  distrutti 3 alberghi, 53 case  e 6 capannoni; 8 ponti demoliti e uno strato di fango, tra 20 e 40 centimetri, che  ricopre un’area di 435.000 metri quadri circa per una lunghezza di 4,2 chilometri. Dieci persone sono state condannate per disastro colposo e il paese è stato ricostruito.

In questi 30 anni la Fondazione Stava ha lavorato per non dimenticare questa triste pagina di storia nazionale e soprattutto ha impostato un lavoro basato sulla ricerca e trasmissione di informazioni utili – è stato creato un centro di documentazione nel Comune di Tesero – per evitare che in futuro si ripetano simili tragedie.

Ne abbiamo parlato con Graziano Lucchi, presidente della Fondazione, che ci ha offerto una lucidissima analisi sulla comunicazione ambientale.”Si sa poco del disastro di Stava perché è difficile raccontare le cause, rispetto, per esempio, alla caduta di un ponte o al cedimento di una diga. Poi ha sicuramente inciso il coinvolgimento, tra i  responsabili, della Montedison che ha messo in campo il proprio peso mediatico perché la notizia dava fastidio,  poi le responsabilità della  Provincia  Autonoma di Trento. E’ difficile ammettere le colpe  quando si è conosciuti per le capacità di governo del territorio, sintetizzo  in una frase proprio noi che siamo così bravi. Atteggiamento anche inconscio, non è una critica, ma un’analisi. Poi siamo alla periferia dell’impero, lontano dalle redazioni di giornali e televisioni. Seveso è alla periferia di Milano e la vicenda ha avuto una grande attenzione’’.

Un problema di narrazione, dunque, in un contesto mediatico basato sull’esaltazione delle emozioni. “Non è una caratteristica solo di Stava – sottolinea Lucchi – Questi disastri, a parte il lavoro di Marco Paolini sul Vajont, vengono comunicati  sempre  esaltando gli aspetti emotivi: il dolore, la rabbia, il rancore, la disperazione; rispetto agli aspetti razionali. Noi preferiamo trasmettere  informazione  sul perché è successo e non doveva succedere, perché non debba succedere più. Naturalmente spendiamo 10 minuti nel cimitero delle vittime”. Eppure Lucchi, come tanti, quel giorno ha perso i  genitori, gli amici, la casa e il paese: “E’ stato ricostruito, ma il nostro Stava non c’è più, abbiamo perso la nostra Heimat (termine e concetto tedesco che non ha facile traduzione in italiano, si può leggere come il luogo natio degli affetti, ndr)”.

Questo approccio educativo, formativo, ad alto contenuto civile  si legge nel programma del trentennale del disastro che “sarà occasione per fare memoria ma soprattutto per diffondere conoscenza e fare formazione scientifica con lo scopo di contribuire a far in modo che non si ripetano disastri analoghi” . In concreto sono previsti diversi eventi formativi  della durata di tre giorni – organizzati con l’assistenza scientifica  dell’Associazione Geotecnica Italiana e dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Trento – rivolti  a professionisti, amministratori e tecnici delle autorità di controllo. Informazioni utili perché dopo il disastro di Stava “Si contano altri 55 incidenti rilevanti in discariche di miniera nel mondo, di cui 9 in Europa, fra questi anche l’incidente catastrofico dei fanghi rossi avvenuto il 4 ottobre 2010 in Ungheria”, conclude il presidente Lucchi. “L’ultimo incidente rilevante in discariche di miniera in Europa è avvenuto il 4 novembre 2012 in Finlandia con conseguenze disastrose per l’ambiente. Lo scorso anno sono stati 4”.  Insomma c’è ancora da tanto da lavorare per mettere in sicurezza il territorio, non solo in Italia, e oltre a ricordare doverosamente le vittime è necessario formare, informare ed agire.

Gian Basilio Nieddu

 

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