Flora Conservation porta la biodiversità in vivaio (e presto in cucina)
Volendo sintetizzare in una parola, si potrebbe dire “agricultura”. Flora Conservation, start up agricola nata nel 2012 come spin off dell’università di Pavia dalle ricerche di due ricercatori di Botanica, produce semi e piante spontanee legate alla biodiversità del suo territorio. E allo stesso tempo, inevitabilmente, lavora per far capire alle persone l’importanza di seminare piante locali, salvaguardare la diversità animale e vegetale del territorio, preferire centaurea e achillea a gerbere e gerani.
“Il nostro lavoro era andare in giro a cercare semi di piante a rischio di estinzione. Per anni, da ricercatori, abbiamo collaborato con la Banca dei Semi della Lombardia, che ha sede presso l’Università di Pavia”, racconta Simone Pedrini, uno dei fondatori dell’azienda. “Guardando i vivai, ci siamo resi conto che le piante in commercio sono in gran parte provenienti dall’estero, soprattutto Olanda e Germania. Essendo abituate a un clima molto diverso dal nostro, si adattano con difficoltà all’ambiente italiano e non sempre sopravvivono. Inoltre, c’è il rischio di introdurre specie esotiche o di ibridazione con piante autoctone, con conseguenti danni ecologici”. Da tutte queste riflessioni, prende forma l’idea di creare un vivaio che al contrario metta al primo posto la biodiversità e la produzione di specie locali. Nel 2012 nasce così la società Flora Conservation, che conta tra i soci di minoranza anche Coldiretti.
Dopo un lungo lavoro di preparazione degli spazi, nell’autunno scorso è iniziata la commercializzazione: “Oggi abbiamo un vivaio di 5.000 metri quadrati: ci sono tunnel ombreggiati per le piante tipiche del sottobosco, un’area al sole per quelle di prato e una zona umida per le piante da fitodepurazione. Abbiamo anche una parte dedicata alla produzione di sementi di specie autoctone, prodotti anche questi direttamente da noi”, continua Pedrini. “Contiamo già oltre 100 specie, ma vogliamo aumentarle. In Lombardia ci sono più di 3.000 specie autoctone, tra le quali scegliamo quelle più ornamentali, più “utili”, o più nettarifere, quindi in grado di attirare api e farfalle”, continua Pedrini. Le piante vengono coltivate senza l’uso di prodotti chimici, pesticidi e fertilizzanti, ed è in corso il processo di certificazione biologica dei semi.
I benefici della vegetazione legata al territorio, rispetto a quella che siamo abituati a vedere nelle serre, sono molti: “Si tratta di piante rustiche, che non necessitano di molti trattamenti: sono economiche da gestire. Inoltre, essendo autoctone, si adattano bene al nostro ambiente e rappresentano un richiamo per la fauna, creando dei corridoi ecologici anche nelle aree urbane. Sono piante riprodotte da seme, che quindi racchiudono un’alta diversità genetica e hanno una buona capacità di adattamento”.
Se però in Gran Bretagna la cultura dei wild flowers è molto diffusa ed esistono diverse aziende come Flora conservation, in Italia la situazione è diversa: “L’approccio delle persone è altalenante e dipende dalla loro cultura e mentalità. Ci sono aree in cui le persone apprezzano quello che facciamo e pagano volentieri per una pianta selvatica, e altre zone in cui le cose sono più difficili: le persone considerano queste piante le erbacce che tolgono dal giardino”. Per questo, oltre alle attività del vivaio e alla selezione di piante rare, una delle principali occupazioni del team di Flora è proprio l’attività di sensibilizzazione: “Bisogna partire dallo spiegare l’importanza di queste piante perché poi le persone capiscano che vale la pena spendere per averle nel giardino”.
I clienti per il momento sono soprattutto pubbliche amministrazioni e parchi naturali: “Ci contattano soprattutto enti locali per comprare piante per aiuole e isole spartitraffico. I parchi naturali ci chiedono anche piante rare, per operazioni di recupero ambientale”. Una parte del vivaio è dedicata alla fitodepurazione, intesa anche questa in chiave autoctona: “Di solito anche le piante per la fitodepurazione sono di origine estera. Noi facciamo crescere invece piante tipiche di ambienti umidi originarie del nostro territorio”. L’azienda ha già contatti fuori regione e l’obiettivo è di espandere il business compatibilmente con il concetto di autoctonia: “Sicuramente possiamo crescere in tutto il Nord Italia. Oltre alle spedizioni di grandi commesse, che siamo già in grado di effettuare, ci stiamo organizzando per la spedizione di piccoli quantitativi di piante e in autunno vorremmo attivare anche un servizio di e-commerce”. Ma non è l’unico progetto per il futuro: “Vorremmo iniziare a produrre anche piante alimurgiche, cioè quei vegetali selvatici che in passato venivano utilizzati per cucinare e verso le quali c’è un rinnovato interesse. Si va dall’ortica al papavero, in un’ottica di cucina alternativa”.
Veronica Ulivieri