“Famiglie senz’auto”: quando la privazione è scelta di vita
Per alcuni la rimozione delle quattro ruote è iniziata con un incidente stradale, che ha lasciato ferite profonde nell’animo e nel portafoglio, per altri è il frutto casuale del regalo di una bicicletta, che ha aperto le porte di un mondo nuovo. Sono tante le storie di “Famiglie senz’auto“, un gruppo informale nato su Facebook e frequentato da un migliaio di persone, che la settimana scorsa ha dato vita al primo raduno nazionale a Bologna, attirando una certa attenzione da parte dei media.
E’bene premettere che non stiamo parlando di estremisti radicali animati dal furore antitecnologico, non sono i luddisti del XXI secolo che vogliono prendere a mazzate le carrozzerie. Il loro identikit si traccia nelle parole di Simona: “Noi siamo contro l’auto di proprietà. Usiamo per spostarci la bici, ma in caso di necessità si usa anche l’auto. Un veicolo però in condivisione“. C’è da far calare la presenza delle auto in Italia, spiega Simona, perché “abbiamo il più alto tasso di motorizzazione“.
Bene l’obiettivo generale di ridurre le auto in circolazione, bene anche la sharing economy della mobilità, ma resta il fatto che muoversi in una città metropolitana dotata di servizi di trasporto pubblico è ben diverso che farlo in un paesino di provincia. Nessuno nega questo stato di fatto, ma è ancora Simona – che nella vita lavora alla velostazione di Bologna - a raccontarci l’interpretazione che il Gruppo fornisce di questa questione: “Dipende da noi. Se non ci organizziamo, non protestiamo, non chiediamo un servizio pubblico efficiente la situazione nei paesini non cambierà. E tanto si può fare. Mio padre a 65 anni ha acquistato una bici elettrica e così va a fare la spesa. Le soluzioni ci sono, basta cercarle. Per fare la spesa ci si può affidare anche ai gruppi di acquisto locale”. E naturalmente c’è anche il bicchiere mezzo pieno nell’accompagnare i figli a scuola: “Ci sono diverse modalità. Se ci si limita ad accompagnare il bimbo in auto il tragitto casa–scuola è un trasferimento, il bimbo scalpita ed è insofferente perché deve stare legato, mentre a piedi si scopre l’ambiente, si chiacchiera, si sta insieme. Si guadagna un tempo utile per la relazione con i figli e quando ci si abitua a questo rapporto è difficile tornare indietro“.
Un’altra “collega” che non ci pensa proprio a fare un passo indietro è Linda Maggiori, frequentatrice del Gruppo Facebook, che ha scritto anche un libro su questa sorta di format green dove non c’è televisione in casa, le merendine non sono confezionate e la colla si prepara con farina, acqua e sale. Un bella pratica di vita che si può leggere nel suo libro “Impatto zero. Vademecum per famiglie a rifiuti zero”. Linda ha abbandonato l’auto dopo un incidente che ha reso inutilizzabile la macchina e si sono sommate questioni economiche ed ecologiche. Una privazione che alla fine ha portato ricchezza.
Ogni storia è personale, ma si trova un filo conduttore comune: “Io vengo dall’Appennino marchigiano – riprende Simona – ed ero abituata ad usare l’auto, poi quando sono andata a studiare a Milano mi è diventata nemica: parcheggio impossibile, rischio di incidente continuo, traffico con stress e frustrazione. Quando un’amica mi ha regalato la bici, mi si è aperto un mondo senza ingombro, senza problemi di spazi e che mi permette di restare in relazione con l’ambiente circostante. Incontro sempre delle persone durante il mio tragitto in bici. Impossibile in auto, dove si ha un conflitto costante, devi lottare per conquistare lo spazio che non è mai abbastanza, mai sufficiente“. Una riflessione interessante, che esplicita anche l’aspetto relazionale e “pacifico” di questo stile di vita, in contrapposizione alla conflittualità dell’ “automobilista incazzato” alla Gioele Dix.
Eppure non tutti possono permettersi di non utilizzare l’auto, che fare? “Noi suggeriamo una direzione – conclude Simona – poi ognuno la segue nel proprio ambito, anche attraverso la condivisione dell’auto, liberando così spazio e risparmiando risorse. Al giorno si spendono più di 10 euro, anche lasciandola ferma. Sono soldi che non usiamo per il nostro benessere. Noi non siamo dei perdigiorno, sia chiaro, abbiamo necessità di mobilità ma va ribaltato l’onere: è necessario che le amministrazioni investano in sistemi di trasporto alternativi all’auto“.
Il raduno (molto partecipato) dei giorni scorsi è stato utile a mettere in comune conoscenze su come vivere bene senza auto – o almeno senza auto di proprietà. Ora il movimento di opinione nato da questo gruppo informale si appresta a crescere e fare “massa critica”, per portare le proprie richieste sul tavolo dei decisori politici e amministrativi, così che, piano piano, il modello si diffonda e i mezzi pubblici riconquistino la centralità che, paradossalmente, avevano cento anni fa e che hanno progressivamente perso nell’”era dell’automobile”.
Gian Basilio Nieddu