Eradicare. La soluzione finale UE sugli ulivi pugliesi con Xylella
L’Unione Europea ha chiesto “rigide misure di eradicazione” nelle aree infette per combattere la Xylella fastidiosa che minaccia gli olivi della Puglia. È finita con questa decisione la riunione del Comitato per la Salute UE durante la quale la sola opposizione dell’Italia nulla ha potuto contro i tecnici di Bruxelles. Sono mesi che la regione italiana è nell’occhio del ciclone, in un susseguirsi di dichiarazioni e cambi di prospettiva che non hanno fatto altro che creare confusione attorno ad una vicenda già di per sé complicata. Cerchiamo allora, senza la pretesa di avere risposte e soluzioni, di fare un po’ di chiarezza, provando a rispondere a qualche domanda.
Prima di tutto dobbiamo capire di cosa parliamo; che cos’è la Xylella fastidiosa e come si è verificato il contagio?
Era il 2013 quando negli oliveti del Salento alcuni alberi iniziano a deperire misteriosamente. Le foglie e i rami si seccano, la corteccia si sfalda e poi gli alberi muoiono. Il fenomeno si fa sempre più vasto. La European Plant Protection Organization (EPPO) avvia immediatamente un’indagine. Il servizio Fitosanitario Regionale viene mobilitato assieme a numerosi ricercatori dell’Università di Bari e dell’Istituto di Virologia Vegetale del CNR per scoprire la causa di questa malattia. Individuata principalmente in un batterio di nome Xylella fastidiosa, più eventualmente associato ad altri agenti quali alcuni funghi e insetti del legno. Il ceppo batterico è arrivato in Salento e evidentemente ha trovato condizioni epidemiologiche ottimali: clima, un ospite sensibile e molto diffuso, l’olivo, e un vettore naturale molto efficiente, il Philaenus spumarius, volgarmente noto come sputacchina.
Questo batterio è davvero così pericoloso?
Si tratta della prima volta che viene identificato in Italia. Ma da molto tempo è presente nei vigneti californiani e di altri Paesi del continente americano, dove è responsabile di gravi danni economici. Rilevante anche il fatto che, prima della Puglia, la Xylella era praticamente assente in Europa. Come sia arrivata nel Salento, è quasi un mistero, ma poco importa. Ciò che davvero vale la pena sottolineare è che questo agente è molto pericoloso. A tal punto che i protocolli UE lo classificano come un patogeno da quarantena. Suonato quindi questo campanello, le autorità scientifiche hanno lanciato l’allarme per una possibile diffusione dell’infezione ad altri territori.
Chi fa parte del fronte più radicale e perché preme così fortemente per l’abbattimento degli olivi?
Il terrore della diffusione della malattia, unito, forse, alla rigidità della normativa e burocrazia europea fanno in modo che il piano proposto fin da subito dall’UE e dagli esperti nazionali sia drastico e senza appello: estirpare le piante infette instaurando una zona di quarantena. Vengono inoltre stabilite varie “misure agronomiche da attuare negli oliveti” (arature, potature regolari, falciature) e un “piano di controllo della cicalina vettrice” mediante l’applicazione di insetticidi sistemici. Anche l’EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, rilascia un parere tecnico-scientifico – che è bene ricordare si basa su valutazioni nazionali – con il fine di impedire ogni possibilità di contaminazione al di fuori delle zone colpite.
Cosa sostengono, invece, quelli che vorrebbero un approccio meno aggressivo?
Su questo fronte ci sono prima di tutto gli agricoltori locali. I quali subiscono un impatto sia psicologico che economico. Molti di questi olivi sono centenari, veri e proprio monumenti viventi; quindi, la loro esistenza è da un lato una fonte di sostentamento ma dall’altro un simbolo di identità, storia e cultura. Se a essere infettate fossero altre coltivazioni estensive, non caratterizzate da una tipicità e destinate a un mercato mondiale, l’approccio di eliminare anche l’ultimo filo d’erba, se certi della sua efficacia, potrebbe, in estrema ratio, anche essere facilmente accettato. Tuttavia, quello che viene sottovalutato dai burocrati di Bruxelles è il significato intrinseco di quegli olivi e di quel particolare habitat naturale. In questa strategia manca, cioè, la consapevolezza di essere davanti ad un prodotto locale d’indubbio valore. Intaccare la produzione di olio di oliva vorrebbe dire minacciare un fiore all’occhiello del nostro Paese. Da difendere e preservare. Inoltre, attualmente, non sono previsti indennizzi per i proprietari di oliveti che stanno andando incontro ad espianti forzati.
Le proposte meno radicali, partono da un dato di fatto. Se la malattia è causata da un complesso di fattori, perché focalizzarsi tanto sulla Xylella? Tra i rimedi alternativi si suggeriscono diversi metodi agronomici come arare e diserbare il terreno per contrastare il ciclo biologico del vettore e favorire lo sviluppo di suoi predatori naturali. Questi interventi mirerebbero anche a rinvigorire lo sviluppo degli alberi, rendendoli eventualmente più tolleranti all’infezione del batterio. Tuttavia, vista la vastità delle aree da controllare, è utopistico sperare che tali pratiche bastino da sole. Anche il massiccio uso di insetticidi chimici sarebbe da scartare considerando il connesso rischio di inquinamenti della falde acquifere e il danneggiamento della fauna selvatica. Per controllare il batterio si stanno poi valutando misure alternative all’eradicazione come specifiche potature, per tentare di risanare gli alberi colpiti. Allo scopo di arginare le coinfezioni di funghi del legno vengono infine proposti anche trattamenti a base di calce e rame.
Quali decisioni sono già state prese e quali potranno essere gli scenari futuri?
Di tempo ne è passato parecchio e la situazione è sempre più complessa. L’Unione Europea ha detto di eradicare, poi solo trattare, poi estirpare di nuovo. E anche il fronte di quelli che non sono d’accordo con il taglio degli ulivi non offre comunque valide idee alternative. A testimonianza del fatto che si tratta di un fenomeno talmente nuovo e tuttora scarsamente conosciuto per l’Italia, e non solo, che anche il mondo scientifico è pressoché senza pratiche soluzioni. E senza fondi per poter avviare specifiche ricerche. A metà del mese di aprile sono state abbattute le prime piante ed è stato imposto un embargo a numerose specie vegetali provenienti dal Salento, per prevenire la diffusione del batterio. Poi l’ultimissima decisione dell’UE. Gli esperti degli Stati membri – riuniti nel Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi (PAFF) – hanno approvato le misure proposte dalla Commissione per prevenire l’ulteriore introduzione e la diffusione all’interno dell’Unione della Xylella fastidiosa. Le nuove misure dell’UE impongono agli Stati membri di notificare la comparsa di nuovi focolai, di effettuare appropriati monitoraggi e altre indagini ufficiali, e di delimitare immediatamente le zone infette. Riguardo la situazione nella regione Puglia, in una zona cuscinetto a Nord del Salento fra Lecce e Brindisi, verranno applicate misure di eradicazione rigorosissime che comprendono la rimozione e la distruzione degli eventuali olivi colpiti e di tutte le piante potenzialmente suscettibili, anche se sane, nel raggio di 100 metri. A garanzia di questa fascia che dovrà rimanere obbligatoriamente indenne, più a Sud ne verrà predisposta un’altra di sicurezza con una larghezza di 20 km e che unirà sempre la costa ionica e adriatica. In tal caso resta l’obbligo di abbattere solo gli alberi malati ma comunque di testare tutti quelli circostanti entro un diametro di 100 metri. Infine, riguardo le zone infette della provincia di Lecce, in cui l’eradicazione non è più possibile, non si rende più obbligatorio l’estirpo degli olivi affetti ma solo misure agronomiche di contenimento. Decisione ammorbidita rispetto alla proposta originaria. Durissima comunque la posizione di Francia, Grecia, Spagna e Portogallo, gli altri Paesi mediterranei. Alcuni dei quali avevano chiesto, in uno spirito molto poco “comunitario”, il blocco all’import di tutti i prodotti ortofrutticoli pugliesi.
Beatrice Credi