Dieselgate: l’industria dell’automobile ci riprova, con una fantasiosa “strategia per il clima”
Dopo la scandalosa decisione del Parlamento Europeo riguardo ai limiti di emissione e il Dieselgate rimasto sostanzialmente impunito, l’industria europea dell’automobile (Acea) sente improvvisamente il bisogno di presentarsi sotto una nuova veste. E lo fa rendendo noto in anteprima – la versione definitiva vedrà la luce solo a marzo – alcuni dettagli della sua strategia per il clima la Joining forces Initiative, che avrebbe come fine il taglio delle emissioni nel settore trasporti entro il 2030. Un piano che coinvolge oltre 50 soggetti del settore trasporti su gomma.
Nel documento le proposte oscillano da alcune ovvietà, ad affermazioni false fino a soluzioni impraticabili.
Nella prima categoria rientrano principalmente tre azioni. La promozione di carburanti alternativi a partire dall’uso di veicoli elettrici (-15% delle emissioni del settore nel 2030 rispetto al 2015 secondo Eurelectric), biocarburanti (-15% emissioni secondo European Biodiesel Board) e gas naturale (-3% emissioni secondo l’industria europea, la NGVA). A questa si aggiunge l’implementazione di auto dotate di tecnologie ‘intelligenti’, che forniscono, cioè, informazioni al conducente su traffico, parcheggi e altro. Queste porterebbero a ulteriori tagli di CO2. Tuttavia, i costosi Intelligent Transport Systems potrebbero far risparmiare solo l’1% delle emissioni. Così come la terza soluzione, una guida ‘ecologica’, che dovrebbe valere un taglio del 10% di emissioni del settore dei trasporti su strada, secondo quanto riportato nella bozza di documento Acea, contro una stima di meno del 2%presente in uno studio indipendente commissionato dalla European Climate Foundation.
Ci si avvicina così alla seconda categoria, quella dei dati puntualmente smentiti. Acea afferma, per esempio, che gli investimenti porteranno le nuove auto nel 2021 a emettere il 42% in meno di CO2 rispetto al 2005. Diversa la stima dell’associazione europea Transport & Environment, secondo cui i miglioramenti “reali”, quelli dei veicoli su strada e non in laboratorio, si fermeranno a una riduzione di circa il 20%.
Ma eccoci, infine, alla terza categoria delle soluzioni impraticabili: il maxi-piano di ripavimentazione di tutta la rete stradale europea con una superficie a bassa resistenza. Secondo Acea porterebbe ad un taglio fino al 5% delle emissioni del settore trasporto su gomma per il 2035 rispetto al 2015. Il tutto alla “modica” cifra di 500 miliardi di euro, in altre parole, fra i 26 e i 39 miliardi l’anno per 20 anni. Con il rischio che gli investimenti necessari in realtà possano lievitare fino a 780 miliardi. I finanziamenti, si dice, potrebbero derivare dal piano Juncker, con la creazione di un un nuovo fondo europeo per gli investimenti strategici che possa agire da volano per catalizzare 315 miliardi di euro. Un evidente follia dal punto di vista costi-benefici.
Non sono ovviamente mancate le critiche: Greg Archer di Transport & Environment ha dichiarato che: “Il piano di rivestire le strade con una sorta di ‘red carpet’ sarebbe realizzato ad un costo astronomico. Un rapido calcolo porta a valutare un costo di 1.000 euro per tonnellata di Carbonio non immesso nell’atmosfera quando il prezzo attuale degli ETS è di 5 euro per tonnellata“. Conclusione di Archer: “l’industria non sembra aver imparato nulla dallo scandalo delle emissioni truccate delle Volkswagen”…
Dalla stessa associazione William Todts afferma che, in sostanza, “il piano dell’industria europea dell’auto non si assume responsabilità per la riduzione delle emissioni di carbonio” e ne scarica il costo sulla collettività. Aggiungendo che “non abbiamo bisogno di piani incredibilmente costosi per riasfaltare le strade d’Europa. Quello di cui abbiamo bisogno sono auto e mezzi pesanti più efficienti, non solo sulla carta ma anche su strada!“.
E intanto nell’ultimo mese le immatricolazioni di vettore nuove - di un settore che produce il 20% del totale delle emissioni UE – sono aumentate di oltre il 6%.
Beatrice Credi