Danone: la sostenibilità in un vasetto di yogurt
E’notizia di ieri che il gruppo Lactalis ha acquisito il 29% di Parmalat. Lo “shopping industriale” francese in Italia dunque continua e si riaccende il dibattito sull’”italianità” delle aziende. Ma cosa significa per un’azienda essere “italiana”? E soprattutto, può una multinazionale “straniera” essere un campione d’Italia? La nostra risposta è che “Campioni d’Italia“ sono, per Greenews.info, tutte quelle imprese che diffondono innovazione e occupazione sul territorio nazionale, scegliendo di investire e produrre in uno dei paesi più difficili al mondo per leggi e burocrazia (Decreto Romani docet). La green economy, del resto, cresce e si sviluppa anche grazie alla diffusione di tecnologie internazionali e ha bisogno di una sana competizione per stimolare le aziende – italiane di nascita e non – a migliorare continuamente la propria sostenibilità ambientale. Per questo, dopo aver celebrato i 150 anni dell’Unità d’Italia con un campione nazionale che ha conquistato i mercati esteri, come la Mossi & Ghisolfi di Tortona, dedichiamo la puntata di oggi alla ”francese” Danone, che produce tutti i suoi yogurt a cucchiaio per l’Italia a Casale Cremasco.
Entrare in fabbrica è sempre un’esperienza formativa. Ti accorgi che dietro a un qualsiasi prodotto, che sei abituato a maneggiare senza cura, dandolo per scontato, c’è la storia di un’azienda, la fatica quotidiana degli operai, gli investimenti degli azionisti, gli sforzi di tecnici e manager e di tutti coloro che, insieme a ricercatori e fornitori, cercano continuamente soluzioni perchè il loro prodotto sia il migliore.
Non è una visione romantica, credetemi, è la realtà quotidiana delle aziende più sane del paese. Solo che si hanno rare occasioni per vederla con i propri occhi e spesso la si dimentica. Per questo la Danone tutti i giorni, da anni, porta in visita, nel proprio stabilimento di Casale Cremasco, in Lombardia, piccoli gruppi di scuole, famiglie, cittadini e giornalisti, per far capire cosa c’è dietro un semplice vasetto di yogurt.
Io l’ho visto con i miei occhi pochi giorni fa e stamattina ho mangiato il mio yogurt diversamente, come dovrei fare più spesso da consumatore “responsabile”, che non voglia solo sbranare il prodotto e cestinarne il contenitore, ma capire attraverso quali accorgimenti pratici (talvolta piccoli ma importanti) è possibile contribuire a ridurre, un pezzo alla volta, il peso della nostra comoda vita quotidiana su questo pianeta. Partendo dal presupposto che le aziende private non sono delle Onlus e, comprensibilmente, cercano di ridurre, innanzitutto, i costi della propria attività industriale.
Ma la chiave di volta della green economy, per gli imprenditori in grado di capirlo, sta proprio qui: è economy, perchè richiede degli investimenti (che portano però l’azienda a risparmiare). Ed è green, perchè attraverso questi investimenti intelligenti l’azienda non solo guadagna in efficienza e profitto, ma riduce anche il proprio impatto ambientale.
Lo stabilimento italiano di Danone (certificato UNI EN ISO 14001), dal 2005 ad oggi, ha aumentato i volumi di produzione del 34%, eppure, grazie a investimenti sull’innovazione, ha ridotto il consumo energetico del 47%, le acque reflue del 34% e il consumo di acqua del 31%, tagliando le emissioni di CO2 di 1.700 tonnellate l’anno. Ora il nuovo obiettivo al 2012 è di ridurle complessivamente del 30%, lavorando congiuntamente su produzione, imballaggi e trasporti. Il 10% in più in 8 anni di meno rispetto agli obiettivi europei al 2020, a riprova che le imprese più virtuose - fortunatamente – viaggiano a una velocità che l’ente pubblico fatica a seguire.
Questo obiettivo, per non essere una vuota dichiarazione di intenti, deve però, anche in questo caso, passare attraverso azioni concrete. Per questo, entro la fine dell’anno, l’azienda estenderà, a tutte le linee di yogurt, l’utilizzo del vasetto in foam plastic, una plastica alleggerita da bolle d’aria che consente di termoformare i contenitori ritagliandoli a coppie da un lungo foglio (quello che vedete in fotografia) e rendendo così superfluo il cartone che oggi tiene ancora uniti i vasetti di “vecchia generazione“. Una tecnologia che l’azienda ha sperimentato negli anni passati e ha già applicato a Vitasnella e Activia, il marchio di punta di Danone, divenuto primo assoluto, per volumi, sul mercato italiano.
Il packaging sembra essere una vera ossessione per chi spende, in plastica, il 50% dei costi complessivi di acquisto dei materiali di produzione. Eppure in 10 anni di Actimel, la bottiglietta dello yogurt liquido si è già ridotta, grazie alla collaborazione con i fornitori, del 30% in spessore. E in Germania si sta lavorando al passaggio successivo: l’utilizzo del PLA, una bioplastica in acido polilattico ottenuto dagli zuccheri. Soluzioni innovative, alternative alla chimica tradizionale, il cui iter per l’uso nel settore alimentare non è tuttavia sempre semplice né scontato.
Già, perché non basta voler essere virtuosi ed essere disponibili a investire, ma bisogna anche vedersela con le normative nazionali, non sempre aggiornate ai tempi e alle nuove esigenze di tutela dell’ambiente. Perché, mi sono chiesto, Danone non può infatti utilizzare il latte locale ma deve importarlo prevalentemente da fattorie francesi o tedesche? La risposta sta nella direttiva europea sulle famigerate quote latte (che impongono tetti alla produzione dei singoli paesi), ma anche nei delicati equilibri del settore alimentare: lo yogurt non è infatti vincolato a disciplinari di produzione, come invece, ad esempio, il Parmigiano Reggiano. Cosa succederebbe se Danone acquistasse sul mercato locale le partite di latte necessarie alle produzioni DOP? Inevitabile quindi importarlo anche dall’estero.
Ma non è tutto: la legge 138 del 1974 (unica in Europa) vieta di trasportare il latte concentrato sul territorio italiano, obbligando a trasportare 1,5 volte in più la quantità necessaria per produrre lo yogurt. Senza che, di contro, ci sia alcun vantaggio in “freschezza” per il consumatore, perchè la condensazione del latte è comunque un passaggio necessario per la produzione dello yogurt, che avviene in azienda con un costo economico e ambientale aggiuntivo. Si potrebbe almeno trasportare il latte su rotaia, così come il prodotto finito da distribuire nel resto d’Italia. Troppo facile, c’è il problema delle dimensioni di alcune gallerie. Riduciamo allora il packaging! Sì, però attenzione a lasciare spazio alle indicazioni richieste dal ddl 2260 sull’etichettatura di provenienza dei prodotti che, ottimo nella ratio ma pessimo nelle possibili conseguenze, attende i decreti attuativi, con una bocciatura europea che già pende sul capo.
Ecco, signori, cosa vuol dire fare impresa in Italia. Ben vengano quindi anche i campioni “stranieri”, soprattutto se utilizzano 100% energie rinnovabili, cartone riciclato per la confezioni della grande distribuzione, lampade a basso consumo per il risparmio energetico negli uffici e recupero del calore dalle condense degli impianti di produzone. Un’idea sana di riduzione preventiva dell’impatto ambientale che distingue le multinazionali concretamente impegnate dai meri greenwasher, pronti a partire per la tangente della “compensazione“, quasi si trattasse di un mercato medievale delle indulgenze.
Andrea Gandiglio