Dai mari europei un messaggio nella bottiglia: salvateci!
La scorsa settimana il mare è stato protagonista del nostro “Bollettino Europa” come possibile e preziosa fonte di energia pulita. Una risorsa che potrebbe risolvere, almeno in parte, i problemi di approvvigionamento europeo. Niente però avevamo detto, in quell’occasione, circa lo stato ecologico delle grandi masse d’acqua che bagnano l’UE. Una condizione non può essere di certo taciuta. Specie dopo la pubblicazione dei “Marine messages” il report dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) che suona come un disperato “messaggio nella bottiglia” e affianca il documento della Commissione Europea “The first phase of implementation of the Marine Strategy Framework Directive”. Insieme, i due papers, rappresentano una visuale d’insieme mai realizzata sullo stato dei mari e degli oceani del Continente.
La prima ricerca evidenzia il crescente impatto cumulativo di settori industriali come i trasporti, la pesca, l’energia offshore ed il turismo sugli ecosistemi marini, realtà sempre più fragili che rischiano oggi di essere danneggiate in maniera irreversibile. Gli scienziati non fanno sconti. I mari europei contano più di 36 mila specie di animali e vegetali. Il buono stato ecologico può essere applicato a meno di un quinto e ad una proporzione simile di habitat. Nel Baltico e nel Mar Nero, poi, l’eutrofizzazione sta formando “zone morte” prive di ossigeno, mentre la pesca a strascico sta distruggendo i fondali nel Mare del Nord. Il Mediterraneo è invece messo sotto scacco da fattori legati principalmente alla pesca e al turismo.
Dal punto di vista climatico, inoltre, negli ultimi 25 anni, le temperature superficiali delle acque sono aumentate circa 10 volte più velocemente che in altri periodi. Queste alterazioni stanno determinando la migrazione di molti organismi verso nord. Come alcuni tipi di plancton che sembrano essersi spostati di 1.100 km.
Il problema principale, secondo l’Agenzia, è l’effetto combinato di diversi fattori collegati tra loro. Per esempio, le temperature più elevate aumentano la carenza di ossigeno, che interessa la vita marina, alzando al contempo i livelli di CO2 nell’atmosfera che acidificano gli oceani, rendendo difficile la formazione delle conchiglie da parte di alcuni animali. Un problema che sembra isolato – il maggiore calore – innesca una reazione a catena che produce cambiamenti a cascata che perturbano interi ecosistemi.
Il messaggio è quindi chiaro: i mari e gli oceani sono in gravi condizioni. Tuttavia, la pubblicazione evidenzia anche alcuni segnali positivi. Alcuni stock ittici sono risaliti ai limiti biologici di sicurezza, e il carico di nutrienti è stato ridotto nel Baltico e nel Nord Est Atlantico. L’Europa sta compiendo, inoltre, progressi nell’istituzione di una rete di Aree marine protette, che attualmente coprono il 6% dei suoi mari. Timide note incoraggianti che però non bastano. L’EEA raccomanda un duplice approccio. Da un lato gli Stati devono attuare la Direttiva Marine Strategy in maniera più omogenea e coerente. Dall’altro, sul lungo periodo, le pressioni ambientali sugli ambienti marini diminuiranno solo se l’economia del Vecchio Continente andrà verso modi più sostenibili di vivere, produrre e consumare.
Il dubbio amletico rimane quindi sempre lo stesso: come è possibile trarre pienamente beneficio dal potenziale economico di mari ed oceani, creando crescita e posti di lavoro, senza accrescere la pressione antropica che già pesa su questo fragile ambiente?
Il secondo rapporto citato fa infatti il punto sulla salute dell’ambiente marino a 6 anni dall’adozione della Direttiva quadro “Strategia per l’ambiente marino”, un approccio integrato che al fianco della protezione dell’ambiente cercava di promuoverne un utilizzo sostenibile. E i risultati sono spaventosi.
Lo scopo della legislazione comunitaria era fare in modo che le acque marine dell’UE raggiungessero, entro il 2020, un buon livello di salute ecologica. Inoltre, si prefiggeva di proteggere le risorse dalle quali dipendono le attività socio-economiche legate al mare poiché due quinti della popolazione dell’Unione Europea, ben 206 milioni di persone, vive in un’area balneare e su 28 Paesi 23 hanno una uno sbocco costiero. In base alla Direttiva, gli Stati membri erano chiamati ad elaborare strategie per le loro acque marine da aggiornare ogni 6 anni.
Grazie ai rapporti inviati dai Paesi si può constatare come la maggior parte degli indicatori selezionati per definire lo stato ecologico di mari ed oceani siano in rosso. Nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero, per esempio, l’88% delle riserve ittiche sono minacciate.
Nonostante, poi, le attività di cattura siano diventate più sostenibili, il miglioramento in questo campo è troppo lento. L’UE dovrà, quindi, fare sforzi supplementari se vuole raggiungere gli obiettivi prefissati entro il 2020. I dati del rapporto sono accompagnati da raccomandazioni per le quattro regioni marine dell’UE e per i Paesi che si affacciano sui mari e sull’Oceano Atlantico. Tuttavia, l’indicazione chiave individuata dall’Esecutivo di Bruxelles è una su tutte: il coordinamento tra gli Stati. Sino ad ora, infatti, la mancanza di sinergia ha costituito un freno al miglioramento della situazione, una cooperazione rafforzata permetterebbe di pervenire ad un buon stato ecologico più facilmente e con meno costi. L’analisi della Commissione UE verrà presentata alla conferenza Healthy Oceans – Productive Ecosystems (Hope) che si terrà a Bruxelles il 3 e 4 marzo.
Beatrice Credi