Cycloscope: due ragazzi in sella per documentare il mondo. Dall’ambiente ai diritti umani
Si parte a giugno da Londra, con destinazione l’estremità meridionale della Terra del Fuoco. Ma la sostanza di ”From Arctic to Antarctic” non è il traguardo, ma tutto quello che c’è tra il punto di partenza e di arrivo. Tecnicamente una pedalata, in realtà “un viaggio alla ricerca di immagini, suoni e parole, a caccia di tesori sconosciuti o dimenticati. Un modo di viaggiare lento, più vicino ai ritmi antichi, una sorta di neo-nomadismo in cui il focus del viaggio viene spostato dal raggiungimento della destinazione al viaggio stesso”.
Parole e filosofia di Cycloscope, al secolo Elena Stefanin (Bologna, 33, scrittrice e attivista per i diritti umani) e Daniele Giannotta (Catania, 35, scrittore, fotografo e antropologo). Un uomo e una donna che instancabilmente pedalano per il mondo dal 2014. E di strada ne hanno fatta: “Dal 2014 al 2016 abbiamo percorso 25.000 km attraverso l’Europa e l’Asia, visitando 35 paesi e documentando abusi sulle minoranze etniche, problemi ambientali e ‘stranezze’ culturali, condividendo le loro avventure e contribuendo alla mappatura fotografica delle regioni più remote del mondo con oltre 200.000 immagini geolocalizzate a livello stradale“.
Quasi un ritorno all ’800, quando il viaggio era conoscenza e documentazione e non solo una raffica di selfie “senz’anima”. Ma cosa spinge due trentenni a superare confini non sempre sicuri e viaggiare in condizioni non propriamente confortevoli? Dove inizia questa storia? “Ci siamo conosciuti a Bologna nel 2005 e stiamo insieme dal 2006. Dopo anni spesi a fare lavori che non ci davano soddisfazione abbiamo deciso di lasciarci andare, seguire finalmente l’istinto che da sempre ci spingeva verso i nostri veri desideri. Abbiamo superato la paura dell’ignoto rendendoci conto che la nostra vita al momento non era meno incerta di una vita in giro per il mondo, solo meno avventurosa ed interessante“. Tradotto liberamente e brutalmente: precariato per precariato almeno facciamo qualcosa che ha senso per noi! “La voglia di scoprire cosa c’è al di là del nostro giardino – proseguono Elena e Daniele – è stata più forte dei timori e dei consigli di chi, attorno a noi, ci considerava (ed in alcuni casi ancora ci considera) incoscienti sognatori alienati dalla realtà”.
Ci parlano in diretta dalla Cina, dove sono rimasti a lavorare 16 mesi per finanziare il progetto. “Ora siamo pronti per riprendere la strada, questa volta non solo in bicicletta, ma anche remando con kayak gonfiabili lungo fiumi e laghi del Nord Europa e del Sud America“.
Spesso il vero problema di questa pedalata antropologica è la difficoltà nel portare a termine la documentazione, in particolare quella sui diritti negati. “Diciamo che abbiamo dovuto rinunciare ad approfondire alcuni temi che avremmo voluto trattare meglio, per mancanza di disponibilità delle fonti… In molti non hanno risposto alle nostre mail, e non solo le realtà più controverse, ma sopratutto associazioni per la tutela dei diritti umani e dell’ambiente che dovrebbero avere tutto l’interesse a rispondere alle nostre domande”.
Passiamo a qualche caso concreto: “In particolare ci è stato impossibile approfondire il discorso sul Lago Aral (alla frontiera tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, NdR) e sulle minoranze rom in Romania, nessuna associazione ha risposto, ed abbiamo constatato come spesso queste non esistano realmente andando a visitare le presunte sedi di persona e non trovandovi nulla… solo una facciata spesso usata per raccogliere fondi governativi ed europei – denunciano Elena e Daniele – In realtà il tutto è stato più difficile di quanto ci aspettassimo, conciliare i tempi lenti della bici e quelli ancor più lenti del documentarismo non è stato affatto facile. Malgrado ciò siamo soddisfatti di alcuni nostri reportage, ad esempio la questione delle grandi dighe nel Borneo Malese“. Un servizio che fotografa lo stato di devastazione ambientale. Leggiamo qualche riga del reportage: “Del Borneo dei romanzi di Salgari resta infatti ormai ben poco, la deforestazione ha raggiunto anche le aree più remote. La giungla è stata spazzata via per far spazio a redditizie piantagioni di palme da olio, o sommersa per creare riserve per la produzione di energia idroelettrica, la cosiddetta energia ‘pulita’”.
Quando vai così a fondo ti capita pure di finire in galera: “Ah sì… siamo anche stati arrestati in Cina, sorpresi a filmare in una città al tempo proibita agli stranieri, peccato che nessuno ce lo avesse detto e che non ci fosse realmente alcun modo di saperlo. Siamo stati trattenuti praticamente agli arresti domiciliari per una settimana, ma alla fine le autorità si sono convinte del fatto che non fossimo spie“.
E l’ambiente, chiediamo loro, come si percepisce in sella alla bici? “Beh, dispiace molto dirlo ma se si è consapevoli e si guarda con occhio attento lo stato dell’ambiente è in condizioni drammatiche un po’ ovunque. Tra le cose più tristi c’è sicuramente lo stato del Lago Aral, trasformato in un deserto: vedere un porto abbandonato affacciarsi su una distesa di sabbia tossica fa di certo il suo effetto“, commenta con amarezza la coppia. “Poi c’è la devastazione del Borneo, trasformato in una distesa di palme da olio, e lo stato delle coste indonesiane, sommerse dalla plastica e potrei aggiungere molto altro… Spesso il normale turista resta ignaro, trasportato da un punto d’interesse all’altro senza avere una reale possibilità di vedere cosa si trova nel mezzo, ma la bici ti da questa opportunità e permette di aprire gli occhi sul reale stato delle cose”.
Ma il loro viaggio, per fortuna, non è solo un pedalare tra le rovine, qualche volta l’ambiente resiste: “Certo ci sono alcuni luoghi remoti ed ancora incontaminati, come le alture del Kyrgyzstan o la remota isola indonesiana di Sumba, ma la devastazione di ciò che vi è attorno non potrà che influenzare anche questi luoghi. Speriamo solo che ci sia una presa di coscienza in tempi rapidi”.
Sorge, alla fine dell’intervista, una curiosità sulla sosta cinese: ma come ci si autofinanzia in Cina?“Abbiamo fatto gli insegnanti di inglese nella scuola pubblica, un lavoro che ci ha dato la possibilità di capire dall’interno come funziona il sistema educativo (e lavorativo, nel settore pubblico) in Cina. Un’esperienza interessantissima ma anche difficile e spesso frustrante”.
E come ci si prepara, invece, dal punto di vista fisico ma anche psicologico per “From Arctic to Antarctic”? “Praticamente in nessun modo, né fisicamente né psicologicamente. Dal punto di vista psicologico non abbiamo problemi, il nostro viaggio precedente è durato più di due anni quindi ormai siamo avvezzi e navigati alla vita sulla strada. Fisicamente sarà più tosta, visto che in questi 16 mesi di pausa non abbiamo avuto occasione di fare molta attività fisica, abbiamo anche messo su qualche chilo di troppo… Partiremo piano, come abbiamo fatto la prima volta, e cercheremo la forma in corsa. Anche per questo abbiamo scelto di spendere un mese tra Inghilterra ed Irlanda, dove non ci dovremmo trovare ad affrontare salite troppo impegnative”. Un progetto di questo tipo non può che essere slow, senza fretta.
Tante persone chiedono a Elena e Daniele consigli per iniziare a viaggiare in bici, o fanno domande più specifiche sui luoghi e i Paesi visitati. Loro, ci dicono, sono “sempre lieti di rispondere” ed amano scrivere articoli utili e dettagliati sul proprio blog. “Ci dà grandi soddisfazioni sapere che condividere la nostra esperienza è utile ad altri per realizzare i proprio sogni”.
Gian Basilio Nieddu