Con la molecola H3+ alla scoperta della “chimica del cosmo”
All’inizio, l’Universo conteneva idrogeno, più due o tre altri elementi. Oggi conta oltre cento elementi chimici e innumerevoli composti che sono riusciti a organizzarsi fino a costruire forme di vita complesse come gli esseri umani. Come è avvenuta questa evoluzione? Ne “La chimica del cosmo“, da poco pubblicato da Dedalo edizioni, lo scienziato e docente universitario Steve Miller spiega questa storia con un linguaggio semplice e appassionante. Sotto la guida di una semplice molecola, quell’H3+ che ha vissuto in prima linea l’evoluzione dell’Universo dai primi giorni fino a oggi, Miller ci conduce in un originale viaggio lungo il fiume della chimica del cosmo. Partendo dalle sue sorgenti, ove la prima manciata di molecole ha visto la luce, conduce il lettore nelle le rapide della nascita e della morte delle prime stelle che hanno arricchito il cosmo di nuovi elementi. E poi di fronte alle meraviglie del mezzo interstellare, lungo le diramazioni del fiume, fino alle terre abitate dai pianeti giganti del Sistema Solare e da comete, asteroidi e meteoriti. Dopo questa deviazione, l’autore riporta chi legge lungo il corso principale del fiume e lo seguiremo fino al delta, regno dei pianeti extrasolari. Lì, lasciata la guida, ecco il mare della vita. Nel viaggio, è possibile incontrare alcuni dei grandi scienziati che, molecola dopo molecola, hanno svelato i segreti della chimica del cosmo. Per la rubrica “Racconti d’Ambiente“, pubblichiamo oggi l’epilogo del libro.
Attraverso i capitoli di quest’opera abbiamo seguìto le tracce della chimica del cosmo dalla sua fonte, nell’èra della ricombinazione, qualche centinaio di anni dopo il Big Bang, fino alla sua foce, in quel punto in cui le acque accumulate lungo il percorso e tutto il loro contenuto fangoso si riversano nel complesso oceano dell’universo biochimico. Abbiamo immerso i piedi in quell’acqua salata. La nostra guida H3+ ci ha accompagnati lungo la maggior parte del percorso, mostrandoci l’inizio dei complessi percorsi della chimica, e quali ingegnosi effetti fisici la più semplice delle molecole riesca a generare: un lungo viaggio per una piccola molecola. H3+ ha dimostrato di essere abbastanza stabile, abbastanza forte, da resistere alle avversità dello spazio interstellare,nonché alle atmosfere dense di radiazioni dei pianetigiganti del nostro Sistema Solare e oltre.
Si è rivelata tuttavia anche molto reattiva, pronta al sacrificio per il bene più alto della chimica del cosmo, di solito attraverso la cessione di un protone per la nascita di nuove specie ioniche. Lungo tutto il tragitto, abbiamo osservato H3+ far partire e mediare una rete di reazioni chimiche che permettono a molecole semplici di nascere e combinarsi, fino a formare composti prebiotici necessari allo sviluppo della vita. Come tutte le molecole che partecipano attivamente alla chimica, H3+ attraversa una fase in cui nello stesso tempo è e non è se stessa, prima di lasciare infine il palcoscenico e fare strada ad altri attori.
La chimica riguarda gli atomi e le combinazioni di atomi chiamate molecole. Riguarda anche come queste combinazioni si spezzano e si ricompongono: se tutto fosse perfettamente stabile e sempre uguale a se stesso, la chimica, semplicemente, non sarebbe più chimica. A cosa dunque «somiglia» questa molecola nel momento in cui sta per rendere l’anima a Dio? Se i chimici non sono capaci di rispondere a questa domanda per una molecola così semplice come la nostra guida, possono davvero affermare di capire il comportamento delle molecole nel momento in cui reagiscono?
Nel 1982, il chimico dell’Università di Southampton Alan Carrington condusse un esperimento concettualmente molto semplice. Anzitutto create la vostra H3+. È semplice: è sufficiente far passare una forte corrente elettrica attraverso un tubo a scarica contenente del gas d’idrogeno molecolare. Poi eccitate la molecola di H3+ così ottenuta fino a quando questa non abbia abbastanza energia da essere a priori in grado di emettere il suo protone. Lasciate poi che la molecola, ora molto agitata, scorra lungo un tubo dove possa essere colpita da un fascio laser con una quantità di energia immagazzinata in un singolo fotone sufficiente a spingere l’H3+ al limite, e indurlo a spezzarsi in una molecola di idrogeno biatomico, H2, più un protone libero H+. Infine, raccogliete il protone e misuratene l’energia.
In termini pratici, l’esperimento non era poi così semplice, e il laboratorio del Dipartimento di Chimica era stato messo alla prova per molti anni prima che Carrington riuscisse anche solo a ottenere gli strumenti adatti a condurlo. Il laser a infrarossi poteva attivare un fascio con lunghezze d’onda comprese tra i 9 e gli 11,5 micrometri, nei medi infrarossi, non un granché come intervallo, ma abbastanza. Il numero di protoni raccolti a ogni lunghezza d’onda venne registrato con cura, generando così uno spettro lungo tutto l’intervallo di funzionamento del laser. Che era però un pasticcio, all’apparenza casuale e caotico. Quando vanno a pezzi, le molecole sembrano davvero farlo male.
Quando nel 1980, all’Herzberg Institute, Takeshi Oka aveva misurato per la prima volta lo spettro di H3+, aveva determinato la variazione tra due stati vibrazionali al fondo della vallata di energia potenziale, dal ponte vibrazionale 0 al ponte vibrazionale 1. Grazie alla teoria e ai modelli, riusciamo a capire abbastanza facilmente i salti di questo tipo. Le linee spettrali di Oka potevano essere associate a numeri quantici, etichette che specificavano quanta energia vibrazionale e quanta energia rotazionale fosse «racchiusa» in ciascuna molecola. Carrington aveva invece spinto la molecola in cima alla valle, nella regione appena al di sotto del plateau, dove essa iniziava a dissociarsi e poi a rompersi, e il concetto di vibrazione, prima utilizzato per descrivere la successione di ponti sui quali era possibile trovare la molecola, lasciava il posto a una baraonda priva di senso.
Carrington fu comunque in grado di dire qualcosa sugli stati in cui la molecola si trovava subito prima di dissociarsi, che duravano meno di un microsecondo (un milionesimo di secondo) quando la spinta del suo laser rappresentava il colpo finale che ne induceva la distruzione. Carrington riuscì anche a stabilire che l’H3+ poteva restare in questo stato di pre-dissociazione per un tempo variabile da qualche nanosecondo (ossia qualche miliardesimo di secondo) fino a un massimo di quasi un microsecondo. Per comprendere lo spettro di Carrington, i chimici teorici dovevano riprodurre stati che duravano abbastanza da soddisfare il protocollo sperimentale, ma non troppo, e in quantità sufficiente. Carrington riuscì a fornire ai teorici un’ulteriore informazione: a bassa risoluzione, le 26 500 linee spettrali collassavano in pochi gruppi ben più facili da gestire. Morale della favola: forse c’era dell’ordine nel caos, della dignità nella morte.
All’inizio i teorici provarono con stati caratterizzati da grandi quantità di energia rotazionale e che potevano nascere nel momento in cui il protone H+ ruotava attorno agli altri due atomi di idrogeno a grande distanza, come una pallina attaccata a una corda. Se, in seguito all’azione del laser, la corda si «rompeva», allora il protone volava via, pronto a partecipare a qualche reazione chimica, lasciandosi dietro una molecola di idrogeno biatomico H2. Altrimenti, grandi quantità di energia rotazionale potevano venire prodotte quando la molecola ruotava rigidamente ad alta velocità. Tuttavia, in questo modo non era possibile generare stati ad alta energia con una vita media tale da riprodurre lo spettro di Carrington. E non si riuscivano nemmenoa spiegare i raggruppamenti di linee osservati a risoluzionepiù bassa.
A indicare la strada giusta è stato infine Eli Pollak del Weizmann Institute, in Israele, il quale ha mostrato come si dovesse cercare la soluzione nelle vibrazioni, e non nelle rotazioni, ad alta energia. Uno scenario in cui, anziché ruotare furiosamentefino a perdere dei pezzi, le molecole di H3+ si scuotevano letteralmente di dosso un protone. Pollak lavorò con JonathanTennyson, dell’UCL, per completare un calcolo quanto-meccanicodettagliato del problema. La maggior parte degli stati vibrazionali fortemente eccitati prodotti nel loro modello sembrava totalmente caotica, un pasticcio. Ma riuscirono comunque a trovarne alcuni dove, nonostante la molecola triangolare di H3+ vibrasse tanto violentemente, con così tanta energia da diventare lineare, manteneva comunque una sorta di regolarità che riusciva a spiegare lo spettro a bassa risoluzione osservato da Carrington. Impressionante come, anche sul punto di andare a pezzi,la nostra guida chimica mantenesse un certo decoro.
Che successo, per una molecola così piccola e semplice!
Steve Miller*
* Professore di Astronomia planetaria e di Comunicazione scientifica all’University College London, svolge attività di ricerca sull’atmosfera dei pianeti giganti, sugli spettri delle comete e sulla chimica interstellare.