Ciolos gioca di sponda: alla società civile il compito di salvare la PAC
Un’agricoltura europea verde, ecologica e sostenibile, più equa e che garantisca la sicurezza alimentare, lontana dalla produzione nociva di tipo industriale, per riportare una “vitalità rurale”. Queste sono state, in sintesi, le richieste dei gruppi di ambientalisti, agricoltori e rappresentanti della società civile, durante la conferenza “The CAP towards 2020 – taking stock with civil society”, che si è tenuta a Bruxelles lo scorso 13 giugno, con la promozione della Commissione Europea, per discutere sul futuro dell’agricoltura comunitaria e della nuova Politica Agricola Comune (PAC).
La conferenza, voluta dallo stesso Dacian Ciolos, il Commissario europeo all’Agricoltura (estensore della proposta di riforma in discussione), è nata con l’obiettivo di dare voce alla società civile proprio durante il processo di formazione della nuova PAC, dal momento che quest’ultima – ha dichiarato il Commissario – “deve trarre la sua legittimità proprio dalla società civile”.
L’occasione si è prestata anche per fare il punto sullo stato dei negoziati tra gli Stati membri, con i quali le frizioni dell’esecutivo europeo non sembrano esaurite. ”La PAC non è solo una politica economica. La PAC non è solo una politica per il cibo, per le nostre terre e risorse naturali, o per l’occupazione – ha dichiarato in apertura dei lavori Ciolos – ma è una politica per l’intera società europea proprio per tutti questi motivi”. Il Commissario, per rispondere anche ai tiepidi giudizi delle associazioni ambientaliste, ha premuto il tasto sui “notevoli sforzi” compiuti dal suo gruppo di lavoro per tener conto proprio delle aspettative della società civile: la produzione di cibo, la tutela delle risorse naturali, l’apertura al mondo, le radici locali, la diversità culturale, l’invecchiamento nelle zone rurali, la semplificazione burocratica. Ma, soprattutto, per “trovare un equilibrio” tra la modernità, da un lato, e la tradizione nazionale, dall’altro.
Ciolos ha forse intuito che “giocare di sponda” può ancora salvare lo spirito originario della proposta di riforma della PAC (sottoposta al logorio di Consiglio e Parlamento europei), aprendo le porte alla società civile. Dal canto loro i gruppi di ambientalisti non hanno perso l’occasione e si sono adoperati per chiedere di “aggiustare”, con una vera riforma, l’attuale modello europeo di agricoltura, di produzione e consumo di cibo.
“Il dibattito su cibo e agricoltura in Europa – spiega Magda Stoczkiewicz, direttrice del gruppo ambientalista Friends of the Earth Europe - ha bisogno di un cambio di rotta. I legislatori devono spingere per una riforma radicale della Politica Agricola Comune. Agli Stati membri e ai Parlamentari non deve essere lasciata la possibilità di eludere le responsabilità verso i cittadini europei, che vogliono vedere un’agricoltura verde e giusta, che fornisca cibo sano per i consumatori e che protegga davvero l’ambiente”. La direzione in cui si è ultimamente indirizzato il dibattito sulla PAC sembra infatti, in tutta evidenza, che non porterà al tipo di cibo e di agricoltura che i cittadini europei sperano. “Le proposte della Commissione Europea rischiano di essere annacquate dal Parlamento e dal Consiglio, la nuova PAC dovrebbe promuovere un’agricoltura più verde e più equa che fornisca cibo sano per i consumatori, garantisca la sicurezza alimentare a lungo termine, protegga l’ambiente e crei comunità rurali varie e determinate”, ribadisce Samuel Féret, membro di Arc2020, la piattaforma di stakeholders per una PAC più giusta: “la Commissione Europea dovrebbe garantire che le sue proposte siano rafforzate, non indebolite. La priorità deve essere ringiovanire l’agricoltura e le comunità rurali, garantendo allo stesso tempo un sostentamento decente per tutti i contadini in un ambiente sano, non il solito business”.
Ciò che sembra emergere dalla conferenza è dunque il timore dei cittadini che la riforma della PAC, così come sembra delinearsi, possa incoraggiare, invece che frenare, pratiche agricole che danneggino l’ambiente, come l’intensificazione delle colture – accompagnata da un uso eccessivo di sostanze chimiche – e la perdita di diversità del paesaggio. Si ha cioè l’impressione che il capitolo dell’inverdimento della Pac sia sottoposto a una vera e propria azione di greenwashing, ovvero che vengano mantenute le rituali dichiarazioni di facciata, mentre si lavora invece, per indebolirne l’effetto reale.
La rotta, secondo l’associazione BirdLife, si potrà invertire solamente se vi sarà la volontà, da parte dei responsabili politici, di imporre criteri di condizionalità al pagamento di tutte le sovvenzioni. Una posizione e una richiesta comuni a tutte le organizzazioni ambientaliste presenti al dibattito: i pagamenti diretti dovrebbero, quindi, essere collegati alle buone pratiche agronomiche, e gli agricoltori che agiscono tramite specifiche strategie di gestione per migliorare l’ambiente, dovrebbero essere ricompensati. Semplice e lineare.
Tra i sostenitori di questa linea “ambientalista” ha fatto sentire la propria voce anche Slow Food che, insieme a numerose altre organizzazioni non governative aderirà alla “Good Food March”, la marcia che partirà a fine agosto e si concluderà il 19 settembre a Bruxelles, coinvolgendo tutti coloro che vorranno portare le proprie richieste per il futuro del cibo e dell’agricoltura europei direttamente alla sede dell’Unione Europea. Un solo rammarico sulla conferenza del 13 luglio di cui vi abbiamo dato notizia: nonostante la dichiarazione di apertura alla “società civile”, l’incontro di Bruxelles era rigorosamente su invito e non c’è stato modo, per la stampa indipendente come la nostra, di accreditarsi per l’evento.
Donatella Scatamacchia