Cinquant’anni al suon della tromba. Intervista a Paolo Fresu
Ora è impegnato con il bilancio della propria vita. Cinquant’anni suonati: Paolo Fresu, uno dei più famosi jazzisti al mondo, festeggia il mezzo secolo con 50 concerti a basso impatto ambientale nella sua amata Sardegna. Cinquanta tappe sparse nei posti più belli e incontaminati di tutta l’isola, alla ricerca del connubio perfetto tra musica e terra. Paolo Fresu e cinquant’anni passati tra concerti e il suo amatissimo Festival di Berchidda. “E’ la campagna del mio paese natale ad avermi forgiato prima della musica. La sua lingua ad avermi suggerito valori e tradizioni che solo successivamente ho potuto traslare in suoni e in emozioni”. Il suo impegno, oggi, è quello di mettere la musica al servizio della vita, per raccontare questo momento così difficile per l’Isola e per il mondo più vasto. “Giuro a me stesso che in ogni esibizione – racconta nel suo sito – il primo pensiero sarà per i bimbi Rom morti bruciati a Roma, per gli operai delle industrie sarde, per i pastori in difficoltà, per l’ambiente minacciato dalle tante macchie nere. Quelle vicine e quelle lontane”.
D) Adesso che è a quasi a metà del suo tour-anniversario è in grado di fare un bilancio?
R) Nessun vero bilancio, ma una consapevolezza. Sono oggi più cosciente che la più grande fortuna che ho avuto in questi quasi trent’anni di carriera è il regalo di poter suggerire riflessioni senza le parole, attraverso il suono della mia tromba. Un messaggio diretto e più efficace.
D) Concerti in tutto il mondo, collaborazioni prestigiose con i grandi del jazz. Però poi ogni anno, ad agosto, un tuffo nella sua amata Sardegna…
R) Ho scelto di fare il mio festival a Berchidda perché la mia terra è un approdo necessario, da quando c’è il festival è diventato un approdo obbligato. Non mi immagino un altro luogo dove fare il festival. Il suo successo è che si fa in questi luoghi, nelle chiese di campagna, dove il rapporto con l’ambiente è un rapporto stretto e rispettoso. E’ così che concepisco l’uso del territorio: un uso delicato e che prende le dovute distanze. E per il mio festival l’ambiente è diventato fondamentale.
D) Tanto fondamentale da dedicare le edizioni ai quattro elementi naturali?
R) Certo. Proseguendo il percorso ideale dedicato ai quattro elementi naturali, inaugurato due anni fa, dopo Acqua e Aria il cartellone si annuncia stavolta all’insegna della Terra. Quest’anno avrà anche un senso più profondo: la terra di Gallura che in questi giorni ha subito la violenza più grande, quella del fuoco. Ho chiamato la mia famiglia il giorno del grande incendio che ha violentato la natura delle mie zone e mi hanno detto che ora il paesaggio è irriconoscibile, è un altro mondo. Sto pensando di organizzare un concerto durante il festival in queste zone bruciate.
D) Una tematica, quella ambientale, che è sempre stata presente nelle sue esibizioni?
R) E’ un argomento fondamentale che va di pari passo con la vita. Noi in Sardegna siamo pieni di “buchi neri” che martoriano l’ambiente, che di notte possono sembrare quasi poetici. Mi riferisco all’atmosfera surreale che può dare la raffineria della Saras al buio, con tutte le sue luci, la sua costruzione complessa, da città spaziale, ma che di giorno mostra tutta la ferocia sul territorio. Per non parlare dell’attualità di Quirra, delle basi militari. La Sardegna è un posto strano: da una parte vive la sua immobilità granitica con alcuni luoghi sempre uguali e immutati, dall’altra il progresso senza intelletto ha modificato i suoi spazi da renderli irriconoscibili e le sue coste stravolte.
D) Qual è dunque la sida per un futuro più sostenibile?
R) La sfida è nelle piccole cose. Oggi la sfida è realizzare ogni concerto con soli 5 Kw, audio, luci e video compresi.
Una sfida che il jazzista sardo sta riuscendo a vincere grazie ad un gruppo elettrogeno “ecologico”, che di giorno cattura l’energia del sole e del vento per poi restituirla la sera, durante il concerto, sotto forma di suoni e luci. Per fare questo vengono utilizzati solo 3 corpi illuminanti led a bassa tensione (massimo 75w) e video proiettori di 300w al massimo. A fare il resto ci penserà l’arte. E l’impegno quotidiano.
Francesca Fradelloni