“Cambio rotta”. Altro che privazione, la sostenibilità come ricetta in cui tutti vincono
Pubblichiamo un estratto di “Cambio rotta. Storie di sostenibilità e successo” (Mondadori, 2019, pagg. 144, € 18,90), un saggio scritto a più mani da cinque giovani reporter (Rebecca De Fiore, Luca Forestieri, Alessandro Magini, Elisa Tasca, Francesco Tedeschi) che raccontano di pesci che si moltiplicano, paesi risorti, mattoni di marmo, vestiti fatti di bucce d’arancia e binari intelligenti. Storie affascinanti e istruttive, frutto dell’impegno e dell’inventiva di abitanti di tutte le regioni del nostro Paese e di tutte le età. Ma, soprattutto , cioè di attività e prodotti che non inquinano, non producono scarti, non distruggono risorse, non comportano rinunce. E, al tempo stesso, generano vantaggi immediati per tutti: per chi ne è stato promotore e per chi ne usufruisce, più in generale per l’intero Pianeta. Il caso studio che abbiamo scelto è quello della Riserva Naturale di Torre Guaceto, in Puglia, raccontato nel capitolo primo…
Quando si pensa a una riserva naturale si immagina un luogo bellissimo e incontaminato, che per restare tale impone delle rigide restrizioni all’attività umana. Si immagina che il problema sia l’uomo, come se la bellezza naturale di un luogo dovesse necessariamente escludere – o quantomeno ridurre al minimo – qualsiasi attività umana. Poi si arriva nella Riserva Naturale di Torre Guaceto e si capisce che non è così. In questo angolo di paradiso, 1100 ettari di riserva terrestre e 2200 di riserva marina tra i comuni di Brindisi e Carovigno, il rispetto per la natura e le attività umane hanno trovato un perfetto punto di equilibrio. Perché nella riserva marina si può pescare, eppure la fauna ittica è aumentata del 400%. Nella riserva terrestre si possono coltivare prodotti che vengono esportati in tutto il mondo, ma questo ha permesso che si riscoprissero colture che rischiavano di scomparire. Nella riserva c’è addirittura un lido attrezzato, con tanto di ombrelloni, lettini e chiosco che attira turisti da ogni parte del globo, eppure le spiagge, il mare e la fauna non risentono dell’afflusso turistico, a differenza delle altre località della Puglia.
Ovviamente all’inizio ci sono stati dei problemi: quando venne istituita la riserva, pescatori e agricoltori si opposero a provvedimenti che in un primo momento reputarono restrittivi e dannosi economicamente. C’è voluto poco perché cambiassero idea, rendendosi conto di quanto la sostenibilità sia conveniente. La passione con cui un agricoltore ti parla del pomodoro Fiaschetto di Torre Guaceto camminando per i campi o l’orgoglio dei pescatori che ti mostrano le foto delle reti piene di pesce ne sono la conferma: oggi sono loro i primi alleati della riserva. Ma non ci sono soltanto gli agricoltori e i pescatori. Nella riserva si tengono concerti e si organizzano mercati biologici, ci sono le visite delle scolaresche, un centro velico, un piccolo museo, una cooperativa che si occupa di educazione ambientale e organizza gite in bicicletta, cacce al tesoro, campi estivi per ragazzi e laboratori di archeologia. Ci sono la passione e l’impegno dei ragazzi che dentro la riserva ci lavorano: sono loro che rendono possibile tutto questo. C’è il direttore del parco, Alessandro, che prima ancora che venisse istituita l’Area protetta ha trascorso mesi dentro la torre aragonese da cui la riserva prende il nome. Non c’erano né acqua né corrente, ma soltanto la voglia di difendere questo meraviglioso tratto di costa. C’è Mariateresa, che lavorava per un giornale locale, ma finiva per proporre e scrivere articoli esclusivamente su Torre Guaceto, tanto che oggi si occupa della comunicazione e dell’ufficio stampa della riserva. C’è Piero, che ha passato intere notti sul tetto della torre a scrutare il mare per impedire che si avvicinassero i pescatori di frodo. C’è Andrea, che si occupa del Centro recupero tartarughe marine: gli hanno spiegato che i rettili non si possono affezionare, ma non ci vuole credere.
Tra tutte le storie che la riserva racconta quella dei pescatori è forse la più affascinante. È la storia di un progetto lungimirante, di un percorso partito tra incomprensioni, conflitti, denunce e terminato con un successo inaspettato, che viene studiato dai biologi marini di tutto il mondo. Nel 2001, infatti, il Consorzio di gestione di Torre Guaceto impose lo stop alla pesca nel tratto di mare di sua competenza, con l’obiettivo di riaprire alle attività dei pescatori dopo cinque anni, per ripopolare la fauna marina. Quando incontriamo i pescatori di Carovigno, uno dei due comuni su cui insiste il territorio della riserva, ripercorriamo la loro storia dall’inizio, dal giorno in cui la pesca nelle acque di Torre Guaceto venne vietata. Sono in sei, hanno appena finito di tirare su le reti, ma la stanchezza non ha tolto loro la voglia di raccontare e raccontarsi. “Come l’abbiamo presa quando ci hanno imposto lo stop? Male, male, male”, sottolineano tre volte. “Il progetto ci venne spiegato bene, ma noi vivevamo della pesca in quelle acque. Iniziarono subito i conflitti: pesca di frodo, denunce, controdenunce”. Prima dell’istituzione della riserva, raccontano, nel mare di Torre Guaceto poteva venire chiunque: c’era chi pescava con le bombe, chi con le reti a strascico. “Nel periodo in cui venne imposto lo stop andammo nelle zone che confinano con la riserva”. Quattro anni dopo, quando la riserva riaprì il suo tratto di mare, la grande sorpresa: “La prima uscita in mare ci stupì con una pescata incredibile. Uno di noi si mise a piangere: era da quando eravamo bambini che non vedevamo tutto quel ben di Dio. Ci fu anche un equivoco, perché il Consorzio di gestione della riserva non aveva comunicato alla Guardia Costiera che saremmo usciti: ci sequestrarono le barche e ci portarono a Brindisi. Oggi prima di ogni battuta di pesca comunichiamo tutto alle autorità e alla riserva”.
Insieme alla prima battuta di pesca partì il progetto di monitoraggio: ogni mattina i pescatori tornano a terra e, con l’assistenza dei biologi del WWF e dell’Università di Lecce, catalogano e misurano uno a uno i pesci intrappolati nelle reti. Il risultato degli studi scientifici è stupefacente: in pochi anni la fauna ittica è aumentata del 400%. “Nelle acque della riserva peschiamo solo una volta a settimana, gli altri giorni usciamo in altre zone. La differenza è enorme. Non bisogna guardare solo alla quantità del pesce, che è aumentata tantissimo, ma anche, e forse di più, alle dimensioni”, spiegano i pescatori. Uno di loro mostra sul cellulare le fotografie dell’ultima battuta di pesca in riserva: le reti sono piene di scorfani e triglie. “Guardate che meraviglia! Vedete come sono grossi? Nell’ultima uscita in riserva ho preso 10 chili di scorfani, di cui il più piccolo pesava 500 grammi. Fuori dalla riserva ne ho presi solo 3 chili, il più grande era di 300 grammi”.
All’occhio dei non esperti il dato sull’incremento dei pesci può impressionare di più rispetto a quello sulle dimensioni. Eppure il primo è figlio del secondo. “Peschiamo con le reti da posta, caliamo la rete e la lasciamo a fondo sul mare, recuperandola il giorno dopo. Utilizziamo esclusivamente le reti a maglie larghe, che consentono ai pesci più piccoli di passare e intrappolano solo gli esemplari più grandi”, raccontano i pescatori. Catturare un pesce di piccola taglia, che non ha ancora raggiunto la maturità sessuale e deposto le uova, significa infatti arrecare un danno enorme all’intero ecosistema. I pescatori lo hanno capito, tanto che usano le reti a maglia larga anche nelle acque al di fuori dell’area protetta.
Insieme alla popolazione ittica, ovviamente, sono aumentati anche i guadagni della comunità dei pescatori di Carovigno. “Se vendi 1 chilo di triglie di grossa taglia puoi chiedere anche 25 euro, mentre lo stesso chilo con triglie di piccola taglia te lo pagano 10 euro”. È un lavoro che merita di essere raccontato e i pescatori della riserva hanno imparato a farlo. “Andiamo nelle scuole a parlare con i ragazzini. All’inizio, quando chiediamo loro quali sono i pesci che preferiscono, spesso ci rispondono: ‘Il merluzzo’. Allora raccontiamo la nostra storia e cerchiamo di fargli cambiare idea: non esistono solo i pesci in scatola! Una volta abbiamo impanato un muggine e lo abbiamo portato a scuola per far capire che l’industria del pesce congelato non ha il monopolio. Abbiamo portato il nostro pesce a Genova, a Torino, a Maglie: è importante raccontare che esiste un altro modo di pescare”.
Al termine dell’intervista, quando ci si conosce meglio e si è creata una fiducia reciproca, i pescatori ritornano alla prima domanda, ai loro rapporti iniziali con la riserva. “Io ho avuto sei denunce!”, dice uno di loro ridendo. “Io ne ho avute due”, “Io sei”. Sono le denunce per pesca di frodo ricevute nei mesi successivi alla chiusura della pesca, quando non accettavano i provvedimenti restrittivi imposti dalla riserva. Qualche giorno fa i pescatori si sono recati al Consorzio di gestione con una richiesta: vorrebbero che l’Area marina protetta venisse estesa. Con il senno di poi, quelle vecchie denunce fanno davvero ridere.
Rebecca De Fiore e Alessandro Magini