Camargue, storie di gitani, di cavalli e di zanzare
Santa Sara, Sara la Nera o Sara la Kali (a riprendere le origini indiane del popolo gitano) è la patrona degli zingari e dei viaggiatori e viene celebrata il 24 maggio di ogni anno a Saintes Maries de la Mer. Sono diverse le leggende che legano questa figura alla località francese: si dice che Sara fosse una donna egiziana, serva di Maria Salome, madre degli apostoli Giacomo e Giovanni, e che, insieme alla padrona, a Maria Jacobè e Maria Maddalena, si mise in viaggio dopo la resurrezione di Cristo su un’imbarcazione che andò alla deriva proprio sulle coste della Camargue, in un luogo chiamato prima Notre-Dame-de-Ratis, poi Notre-Dame-del-la-Mer e che nel 1838 ha preso il nome di Saintes Maries de la Mer. Altri invece credono che questo sia il luogo di pellegrinaggio perché proprio in Provenza si incontrarono i due flussi di nomadi che arrivarono in Europa nel Medioevo dai Balcani e dal Nord Africa attraverso la Spagna.
Sta di fatto che il piccolo paese di casette bianche tra il mare e la laguna viene invaso ogni anno da Gitani spagnoli, Rom balcanici e Sinti che si ritrovano qui a festeggiare e onorare la loro santa protettrice, allestendo un divertentissimo accampamento diffuso su tutto il lungo mare e animando parcheggi e stradine con musica e balli tradizionali.
Se durante i due giorni di pellegrinaggio non si può dire che la raccolta rifiuti sia propriamente riuscita (e tanto meno differenziata), solitamente la Camargue si presenta come un perfetto equilibrio di uomo e natura. L’area è chiusa da barriere d’acqua sui tre lati, da il Grande Rodano a est, il Piccolo Rodano a ovest e la costa a sud, che non superano la quarantina di chilometri ciascuno. Parte della superficie è occupata da coltivazioni di riso e il polmone idrico de l’Ile de Camargue , il Vaccares, è a protezione integrale aperto solo a documentaristi e ricercatori. La regione sembra abitata più da animali che da esseri umani, tanto che è più facile incontrare cavalli e tori che gitani o gardians.
Come racconta Stefano Riva nel suo articolo “Tutto il mondo in uno stagno“, “c’è chi sostiene che i cavalli della Camargue siano gli ultimi discendenti di una specie preistorica estinta, il Cavallo di Solutré. Sono piccoli (in genere intorno ai 150 cm), nascono scurissimi, poi il manto si schiarisce progressivamente fino a diventare quasi bianco. Nascono in libertà e per il primo anno di vita imparano a muoversi fra i loro acquitrini senza mai vedere l’uomo. Poi vengono marchiati, ma è solo quando sono adulti che i gardians li catturano e li domano. Comunque non subiscono mai l’affronto di essere rinchiusi in una stalla. Continuano a pascolare e correre (quasi) liberi fra stagni e prati per tutta la loro vita, e il non avere mai una protezione né dal gelido Mistral invernale né dal caldo soffocante e dalle nuvole di zanzare che infestano le paludi in estate, non gli impedisce di arrivare alla rispettabile età di una trentina d’anni”.
Anche i tori vivono in libertà e la tradizionale corrida locale, la course à la cocarde, non ha nulla a che vedere con la violenta pratica spagnola. È una sfida tra il toro e il razeteur, il torero, che deve cercare di afferrare la coccarda fissata fra le corna della bestia. “Qui -continua Riva- l’unico che rischia di farsi male è l’umano e la vera star dello spettacolo è l’animale. Mentre i malcapitati tori spagnoli combattono una sola volta nella loro vita, i loro colleghi della Camargue subiscono un vero e proprio addestramento alla tenzone e i più bravi hanno una carriera lunghissima”.
Non solo di grossa taglia gli animali di questa zona: la Camargue vanta una biodiversità riconosciuta a livello internazionale, fatta di libellule, ragni, rondini, passeri dei canneti e anche di zanzare! Si, ed è proprio per la protezione della fastidiosissima zanzara che si è espressa una petizione qualche tempo fa: “Questo straordinario patrimonio naturale è oggi seriamente minacciato da una campagna di controllo della zanzara con la diffusione di un agente biocida (BTI, Bacillus thuringiensis israelensis) sulle aree naturali. L’impatto negativo di questa campagna sulla biodiversità è scientificamente dimostrato. Con la distruzione di un collegamento primario della catena alimentare, l’intero ecosistema viene perturbato”, scrivono le associazioni ambientaliste.
In mezzo a tutta questa natura, però, c’è ancora lo zampino dell’uomo. Intanto il meraviglioso e complesso ecosistema del parco, regione in cui l’evaporazione favorita dal vento e dal sole supera di tre volte le precipitazioni annuali, è nato dalle inondazioni del Rodano, che oggi ha un andamento controllato dalle varie dighe e bonifiche, che evidentemente hanno fermato le alluvioni. Questo vuol dire che il processo naturale di alimentazione delle paludi oggi è sostituito da una serie di pompaggi artificiali che ricreano le esondazioni passate. Altra lavorazione artificiale è quella delle saline di Aigues Mortes, una delle più importanti del Mediterraneo, dove viene estratto il bianchissimo Fleur de Sel – detto anche caviale del mare- e il “normale” sale di Camargue, purissimo e naturalmente ricco di magnesio, lavorati nel rispetto dei ritmi naturali delle maree e delle correnti. La salina di Aigues Mortes è una costruzione artificiale composta da cinque serbatoi consecutivi interconnessi da un flusso d’acqua a cui sono collegati i serbatoi di riserva, la lavorazione (effettuata manualmente in molte fasi) è di bassissimo impatto ambientale ed è massima in estate con l’alta evaporazione dell’acqua e cristallizzazione del sale.
I nostri cugini francesi sono stati molto bravi a mettere mano ad un ambiente così delicato e a far apprezzare tutto, anche i disagi, a turisti e viaggiatori. Tanto che lo scorso anno, all’interno del progetto Tur.Rivers, promosso da diversi Gruppi di Azione Locale italiani (di cui il GAL Polesine Adige è capofila) con l’obiettivo di promuovere e sviluppare il potenziale di attrazione del turismo fluviale dei grandi fiumi del Nord Italia (Il Po, l’Adige e il Brenta) e dell’ambiente circostante, attraverso lo studio e il confronto con altre aree europee caratterizzate dalla presenza di fiumi e zone umide, è stata organizzata la visita di un gruppo di operatori turistici proprio in Camargue, individuata come modello. Qui i professionisti italiani hanno potuto confrontarsi con esperti francesi del settore in ambito di cicloturismo, turismo fluviale e diversificazione delle aziende agricole, cercando di prendere spunto dall’esperienza francese che ha saputo rispettare gli ambienti a fronte di un’offerta turistica variegata e ben promossa.
Intanto la Santa Sara è tornata in chiesa, i furgoni si allontanano con grandi fumate nere e musica a tutto volume, e lasciano di nuovo Saintes Maries de la Mer nel suo silenzio e ordine di sempre.
Alfonsa Sabatino