Brexit e ambiente: quale futuro per le normative di emanazione europea?
Il popolo del Regno Unito, con il Referendum del 23 Giugno 2016 si è espresso a favore dell’uscita dall’Unione Europea, l’ormai nota “BrExit” (acronimo di Britain Exit). Un referendum, va chiarito, che è solo consultivo e non ha, pertanto, alcun valore legale nei confronti del Parlamento, anche se non ascoltare la voce del popolo potrebbe avere conseguenze politiche drammatiche. Ora il governo britannico dovrà quindi ridiscutere con l’UE tutti i trattati che ha siglato e stabilire le condizioni dell’uscita.
La contrattazione potrebbe durare due anni di lavoro, durante i quali il Regno Unito sarà ancora membro dell’Unione Europea ma non potrà partecipare né obiettare a nuove leggi. I parlamentari britannici e il nuovo Governo che sorgerà dalle dimissioni del premier David Cameron, dovrebbero prestare attenzione a non danneggiare le esportazioni verso la UE, cambiando le regole. Il Regno Unito potrebbe mantenere la sua posizione nel mercato interno, restando un membro della Area Economica Europea (EEA), con uno status simile a quello della Norvegia o dell’Islanda. Restare nella EEA manterrebbe, per altro, in vigore molte delle leggi ambientali di emanazione europea, mentre sembra che, anche su questo fronte, il Regno Unito voglia mantenere le mani più libere.
I parlamentari pro-BrExit sostengono che, fuori dalla UE, il Parlamento potrebbe fare leggi specifiche per la Gran Bretagna e, poiché uno dei cavalli di battaglia della campagna per l’out puntava proprio il dito contro la complessità della burocrazia europea, è possibile che le norme europee giudicate troppo restrittive lascino spazio ad una deregulation ambientale.
Da questo punto di vista il Paese si trova ad un bivio. La prima opzione sarebbe la rinegoziazione delle normative ambientali con l’Unione Europea, di cui i britannici non farebbero più parte, decidendo però di continuare a contribuire al budget europeo, per esempio per le direttive Habitat, Birds e Bathing Water Directive. In questo caso gli standard della tutela ambientale non muterebbero particolarmente. Per poter accedere al mercato europeo, i britannici dovrebbero comunque rispettare anche gli “standard di qualità” imposti dall’Unione.
L’altra opportunità, a cui sono maggiormente orientati i favorevoli alla Brexit, sarebbe quella di siglare nuovi accordi commerciali con i Paesi emergenti, solo in base alle normative dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC): la Gran Bretagna rinuncerebbe, in questo modo ai benefici sul mercato europeo, ma anche agli obblighi imposti da Bruxelles. La negoziazione con gli USA sul TTIP, ad esempio, potrebbe diventare un accordo UK-USA, in cui i britannici potrebbero acconsentire al controverso “ribasso” in materia ambientale.
Per le frange antieuropeiste gli standard europei per l’ambiente sono infatti troppo severi. Il “principio di precauzione” inserito nei trattati della UE rallenterebbe l’Europa nell’adozione di nuove tecnologie (es. gli OGM), solo sul sospetto che possano danneggiare la salute e l’ambiente…
Secondo il rapporto IEEP (Institute for European Environmental Policy), la realtà è che l’Unione Europea ha sviluppato il più completo e influente sistema legislativo sull’ambiente di tutto il mondo, stabilendo faticosamente, ma con successo, un approccio condiviso su molte questioni ambientali. Il sistema legislativo europeo ha contribuito a contenere, negli Stati membri, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, protetto le specie in pericolo e imposto salde barriere sull’utilizzo di coltivazioni geneticamente modificate e fertilizzanti chimici.
L’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità, ha, al contrario, evidenziato come la qualità dell’aria in molte città inglesi sia al di sotto degli standard richiesti. E la situazione sarebbe forse peggiore se i regolamenti europei non avessero continuamente pungolato i governi britannici per non avere compiuto progressi significativi in questo settore. La Corte Suprema Britannica, ad esempio, è intervenuta in passato, per costringere il governo a stilare un piano di azione ispirato agli standard europei.
Infine, tra le grandi questioni ambientali sollevate dalla Brexit ci sono da considerare due settori di peso come agricoltura e automotive. Che ne sarà dei fiumi di soldi europei a sostegno degli agricoltori grazie alla PAC, la Common Agricultural Policy e, in particolare, dei ”Green Direct Payments” introdotti con la riforma del 2013? E degli standard di emissioni per il settore automobilistico (Euro 5, Euro 6 ecc.)? La partita che il Regno Unito si appresta a giocare su questi fronti sarà determinante non solo per le sorti economiche del Paese, ma anche per il futuro dell’ambiente.
Francesca Sirico*
*Coordinatrice del gruppo di discussione Ambiente & Diritto