Brachetti: introduciamo la “congestion charge” anche a Torino
Se si potesse fare una magia per far sparire, in un soffio, l’inquinamento, Arturo Brachetti sarebbe il nostro asso nella manica. Il trasformista che fa impazzire il mondo confessa che metterebbe volentieri a servizio del nostro Paese la sua arte, per ridurre la cappa di smog dalle nostre città. A cominciare dalla sua amata Torino. Ma se volare con la fantasia è bello, bisogna poi tornare con i piedi per terra. E allora, il ciuffo più famoso d’Italia ha elaborato una sua filosofia, “la teoria dello spazio”, per raccontarci ciò che per lui significa “qualità della vita”.
D) Brachetti, lei vive a Torino. La considera una città smart?
R) Sono contentissimo di abitare qui, come i molti amici che si sono trasferiti sotto la Mole da tutt’Italia. Torino è diventata una vera perla, ma solo negli ultimi cinque anni. La vita notturna e diurna è piacevolissima, l’offerta culturale è molto alta. Certo, se si parla in termini di aree verdi, ci sono città europee come Berlino che ne hanno ben di più.
D) Torino è però spesso ricordata come città dei fiumi e dei parchi. Lei li frequenta?
R) Frncamente no. Quando ho voglia di verde vado fuori porta. Prendo l’auto e visito le campagne piemontesi, o vado in montagna in Val d’Aosta. Amo passare i weekend liberi alla scoperta degli agriturismi. La prossima meta sarà il canavese, ho prenotato al Castello di San Giuseppe, vicino a Ivrea. Visitare questi luoghi è come vivere tanti piccoli film, e si conosce meglio il territorio.
D) Un viaggiatore come lei, sempre in tournée dal Giappone al Canada, non ha mai pensato di trasferirsi in qualche altro Paese?
R) Direi di no. Amo l’Europa e le vecchie mura dei suoi palazzi. Per me, la casa sta tra le braccia di questa vecchia signora. Nel 2011 ho portato sul palco 256 spettacoli. Presto inizierà di nuovo il tour de force: parto da Londra, poi Bruxelles, Strasburgo, Nizza, il Canada, l’Australia. Quando vai in giro per il mondo, capisci che ti mancano i mattoni delle città piene di storia, che abbiamo qui. Quell’atmosfera introvabile altrove, che porta la memoria dei secoli. Ti mancano le tradizioni: dove nel mondo puoi entrare in pasticcerie dell’800, tanto per fare un esempio? Solo da noi. Certo, se l’Europa di colpo sparisse, forse mi trasferirei a Montréal.
D) Perché proprio Montréal?
R) E’ la più europea delle grandi città del mondo. Spazi immensi, si può vivere senza pestarsi i piedi e la gente è più rilassata e tollerante. Lì non hanno certo il problema del parcheggio: se qualcuno ti frega il posto, puoi mettere la macchina 5 metri più in là. Da noi, invece, lo spazio è preziosissimo. Ciascuno difende i propri confini e tutti sono per causa di forza maggiore più aggressivi.
D) Interessante teoria sulla qualità della vita, la sua. Che però non si applica facilmente al vecchio continente, in effetti. Pensiamo ai nostri centri abitati…
R) Io, infatti, quando posso mi muovo a piedi. Uso anche l’automobile. Ma a mio discapito, sul permesso di circolare nel centro storico ho maturato una teoria: sarei favorevole all’introduzione di un pedaggio a Torino, com’è già a Milano, per gli automobilisti che vogliono transitare nel perimetro centrale della città. E’ senz’altro un modo, un po’ impopolare forse, per incentivare l’uso dei mezzi pubblici.
D) Sul palcoscenico la vediamo sempre in perfetta forma fisica, instancabile. Pratica molto sport?
R) Sì, vado in palestra tutti i giorni, per un’ora e mezzo. Accompagno l’allentamento con una dieta che potrebbe sembrare un po’ triste: riso in bianco a pranzo e carne cruda o carpaccio a cena. Anche se, a dirla tutta, di tanto in tanto mi concedo qualche golosità in pasticceria. Vado matto per il panettone, in Piemonte c’è il Galup, il migliore del mondo. E per le torte. Conservo una ricetta di quando ero bambino, che presto rifarò con il celebre chef albese Luca Montersino, che è un caro amico.
Letizia Tortello