Basta con l’ambientalismo della privazione. Serve una “Ecologia del desiderio”
Siamo sicuri che continuare a parlare di tragedie, privazioni e rinunce spinga le persone verso atteggiamenti più ecologici? Non sarebbe forse più efficace promuovere i benefici (ambientali, economici e di salute) di una transizione alla green & circular economy? Nel suo nuovo libro “Ecologia del desiderio. Curare il pianeta senza rinunce“ (Aboca Edizioni, pp. 208, 15 euro), Antonio Cianciullo, giornalista del quotidiano La Repubblica che da 30 anni segue i temi ambientali, prova a delineare l’appeal di questa nuova via dello “sviluppo sostenibile“. Per la rubrica “Racconti d’Ambiente” pubblichiamo un estratto dell’Introduzione.
Desideriamo veramente frenare il nostro impatto sul pianeta? O il vecchio sistema ci tenta perché per secoli ci ha regalato successi usando la tecnologia come un bazooka? È una sirena che non va sottovalutata perché con la voglia di conquista, di superamento dei limiti, abbiamo un rapporto ambiguo: ci preoccupa ma ne siamo al tempo stesso sedotti. Questo è il nodo che non viene affrontato dal movimento ambientalista. Anche perché è scomodo e mette in crisi convinzioni molto radicate in chi da mezzo secolo attacca in modo unilaterale l’idea della crescita.
Certo gli ecologisti hanno ottime ragioni. Il virus che destabilizza il pianeta è un cocktail di produzione industriale incontrollata e boom demografico. Siamo sull’orlo della prima estinzione di massa causata da una sola specie, quella che si autodefinisce sapiens. Abbiamo portato l’inquinamento fino alle cime himalayane. Stiamo lavorando per un clima più favorevole alle zanzare che agli esseri umani. Ma il quadro complessivo non è in bianco e nero. La corsa alla crescita ha avuto segni profondamente diversi nelle varie fasi storiche e al nostro interno si sono sedimentate contraddizioni, incongruenze, incertezze perché è successo tutto troppo in fretta: per secoli abbiamo incassato benefici (quantità crescenti di energia, cura di malattie mortali) e solo da pochi decenni cominciamo ad avere un’idea dei danni collaterali.
La lunga storia di successi spinge emozionalmente verso una crescita del consumo del pianeta; la coscienza moderna degli errori commessi spinge razionalmente verso la decrescita del consumo del pianeta. Da una parte un desiderio antico di conquista della natura; dall’altra un dovere moderno di rispetto degli ecosistemi. La tesi di questo libro è che provare ad amputare le contraddizioni sia un errore che porta in un vicolo cieco: siamo stati preda troppo a lungo per rinunciare facilmente al ruolo di predatori, abbiamo sofferto troppo a lungo di carenza per inorridire istintivamente di fronte all’eccesso. La spaccatura può invece essere ricucita cambiando atteggiamento. Anziché frenare la corsa si può mutarne la direzione, indirizzarla verso un’innovazione delle tecnologie e dei comportamenti che si allinei alla natura invece di combatterla. Creando un immaginario diffuso all’altezza della sfida perché, come ricorda il filosofo Slavoj Zizek, senza immaginario la realtà perde di significato, si dissolve.
Per smettere di addentare in modo bulimico il pianeta non bastano i notai dei disastri, ci vogliono romanzi, film, telenovele che aiutino a costruire un immaginario quotidiano in linea con la nuova realtà, quella in cui rischiamo di finire vittime di noi stessi. E questo immaginario non può essere solo negativo, perché in mancanza di alternative convincenti una prospettiva terrorizzante viene rimossa. Finché gli ecologisti continueranno a vendere solo paura falliranno, anche perché la paura è merce inflazionata: dal terrorismo ai nuovi flussi migratori la concorrenza non manca. E la paura dell’oggi batte quella del domani. Mentre un progetto durevole di economia circolare può dare speranza immediata restituendo equilibrio ai territori, intervenendo sugli aspetti geopolitici, riallineando ragioni ambientali e ragioni sociali.
È dunque ragionevole spostare l’attenzione da ciò che non si deve fare a ciò che va fatto, iniziare a costruire e a raccontare luoghi in cui la qualità della vita migliora, l’inquinamento è ridotto da tecnologie confortevoli, il lavoro distribuito in modo più equo, le tensioni sociali si allentano. Si può far pace con l’idea di crescita dandole un senso diverso da quello che le viene generalmente attribuito: una crescita delle opportunità e dei piaceri che rispetta i limiti della fisica. Un’ecologia del desiderio invece di un’ecologia del dovere. È un’ipotesi realistica? È possibile reinterpretare il concetto di limite non come freno ma come sviluppo delle potenzialità? Puntare a un modello di economia circolare capace di guadagnare efficienza e produttività copiando l’eleganza della natura? Alimentare la speranza? Sostituire alle prediche sulle rinunce la comunicazione dei vantaggi del cambiamento? Sottolineare le possibilità dell’incontro invece di aizzare i conflitti?
Nelle pagine che seguono si cerca una risposta a queste domande recuperando dal mito la memoria delle emozioni antiche che ancora ci muovono. Ricostruendo le ragioni contrapposte di chi si è battuto contro il limite in nome dei diritti individuali e di chi si batte per il limite in nome dei diritti comuni. Mostrando i danni creati in secoli di saccheggio del pianeta, ma anche ciò che è possibile fare se si esce dalla logica delle opposte tifoserie, se si rivisita il buon senso rilanciando un’economia nutrita dalla ricchezza che si rigenera.
È un messaggio che Pavan Sukhdev, l’economista indiano che ha inventato un sistema per misurare il valore della natura, mi ha sintetizzato in pochi minuti mostrando una breve clip. Racconta la storia di un criceto che, come tutti gli animali della sua specie, comincia a crescere a ritmo velocissimo raddoppiando di dimensioni ogni settimana, dalla nascita alla pubertà. A differenza degli altri, questo criceto, Hamsterzilla (da hamster, criceto), non smette di crescere: mantiene costante il ritmo. Arriva a 100 chili, poi a 200, poi a 400. A un anno pesa 9 miliardi di tonnellate: è in grado di mangiare tutto il mais del mondo in un giorno. E continua a ingigantirsi fino a consumare l’intero pianeta e a volare nello spazio. È solo un minuto di filmato, ma dice molto sull’espansione illimitata. La natura però conosce altre forme di crescita. Da adulti gli esseri umani non guadagnano in altezza, ma – talvolta – diventano più saggi. E il bruco non continua a espandersi, si trasforma in farfalla. Leggerezza e sapere. Una buona formula per pilotare lo sviluppo.
Antonio Cianciullo