“Autunno romeno”. Un vento che soffia nell’Est che ancora non conosciamo
Montagne verdi, tetti spioventi, strade in pietra pulitissime: quando arrivo a Brasov rimango colpita da questa Romania assolutamente lontana dal mio immaginario; dall’immaginario comune italiano, forse.
La Romania, con i suoi 237.391 kmq di superficie e 19 milioni di abitanti (di cui romeni 89,5%, magiari 6,6%, rom 2,5%, tedeschi 0,3%, turchi e tartari 0,3%, ucraini e russi 0,4%, serbi e slovacchi 0,2% – secondo il censimento 2011) è il secondo paese più popoloso dell’Est europeo, con una concentrazione del 53% della popolazione nei centri urbani, prima tra tutte la capitale, Bucarest, che da sola registra 1,7 milioni di residenti. Molto turismo – soprattutto locale – che gravita intorno ai castelli della Transilvania, che distraggono un po’, con un clima da favola, dalla reale situazione economica del paese, la cui economia è la 48esima al mondo (dati FMI 2010), con un PIL pro-capite di 5.800 euro rispetto ad una media UE di 24.500 euro, che la posiziona al penultimo posto in Europa, prima solo alla Bulgaria (Fonte Eurostat 2012). Un turismo, dunque, embrionale, che prende spazio all’interno di un’economia ancora in fase di sviluppo, che vede però crescere il settore dei servizi a discapito di agricoltura e industria: il PIL nel 2011 è stato pari a 136,5 miliardi di Euro, a cui hanno contribuito i servizi per una quota del 45,4%, l’industria per il 26,3%, le costruzioni per il 9,8% e l’agricoltura con una quota del 6,5%.
Eppure, lasciando da parte le suggestive residenze del sanguinario Dracula, sono tante le potenzialità competitive della regione, tra cui – come citato dalla scheda informativa sull’economia romena elaborata dall’Istituto Nazionale per il Commercio Estero (ICE)– la posizione geografica, centrale e strategica; l’attenzione della UE e la disponibilità di gran parte dei fondi strutturali destinati al paese; una popolazione piuttosto ottimista e propensa al consumo; una forza lavoro istruita e a costo competitivo (sfruttata spesso, purtroppo, da multinazionali in delocalizzazione più che per il lancio dell’economia interna) e ancora le risorse naturali, di cui la Romania dispone in una misura tra le più significative d’Europa. Petrolio grezzo (con le sue riserve geologiche pari a 54,8 milioni di tonnellate si classifica al 4° posto nella graduatoria UE dopo Norvegia, Gran Bretagna e Danimarca); gas naturali, stimati per circa 660 miliardi di metri cubi; sale, estratto a livello statale per 33 miliardi di tonnellate complessive; e ancora oro e argento con i 3 giacimenti di Rosia Montana, Certej si Baita Craciunesti, carbone, metalli e minerali utilizzabili anche nel settore delle costruzioni e acque sotterranee, per uso terapeutico. Una ricchezza che non è passata inosservata agli occhi degli investitoti esteri, e la cronaca degli ultimi giorni ne è la dimostrazione.
Si, perché la Romania torna a manifestare nelle piazze delle città per contestare lo stillicidio delle risorse naturali del paese. Diversi i progetti criticati perché ritenuti assolutamente violenti, insostenibili e poco sensati. Nonostante il premier Ponta avesse dichiarato inizialmente di essere contro lo sfruttamento dello shale gas, ha da poco dato il via allo studio di contesto per individuare le riserve disponibili sul territorio e inaugurato il cantiere a Barlad, nelle colline dell’est della Romania, dove la compagnia petrolifera americana Chevron ha una concessione di 600.000 ettari che sta perforando alla ricerca di gas. Una decisione che ha scatenato un movimento di resistenza, composto da residenti locali di varia provenienza e formazione: un geologo, un ingegnere, un notaio, un prete, cittadini e studenti, tutti preoccupati per l’impatto di questa operazione sulla natura e sulla salute. Già, perché l’estrazione di questo gas avviene attraverso la frantumazione dello scisto – una roccia sedimentaria – con un metodo (la frantumazione idraulica, o fracking), autorizzato in certi stati ma vietato in altri, come ad esempio in Francia, perché considerato pericoloso e altamente inquinante.
Resistenza locale anche contro lo sfruttamento incontrollato delle risorse minerarie. È Rosia Montana questa volta il palcoscenico delle polemiche, che si scatenano contro un progetto appoggiato fortemente dal Presidente Basescu – che promuove l’opera come fosse di interesse pubblico per tutto il paese- e che prevede l’utilizzo del cianuro per le attività di estrazione dei minerali, una tecnica devastante per l’ambiente. I piani di sfruttamento del gruppo Gold Corporation (controllato dalla canadese Gabriel Resources, proprietaria della licenza di sfruttamento delle risorse minerarie dell’area) comporterebbero la “deportazione” di ben oltre 2.000 persone, la distruzione di 900 abitazioni e di un patrimonio naturale e archeologico inestimabile. Così dalla questione della miniera di oro è nato un grande movimento, nominato da alcuni “l’autunno romeno”, che ha sventolato le bandiere della campagna “Save Rosia Montana” in tutte le più grandi piazze romene, davanti alle ambasciate e ai consolati romeni delle principali città europee e che il 21 settembre ha dato vita ad una catena umana lunga 7 km che circondava il palazzo del Parlamento.
Una sensibilità in crescita quella verso l’ambiente, sia a livello di opinione pubblica che politica, in un paese che, secondo la relazione 2012 dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA) dal titolo “Air quality in Europe”, presenta un inquinamento atmosferico delle città, nonostante il costante monitoraggio regolare di questi ultimi anni, molto più elevato dei limiti considerati accettabili; falde acquifere di numerose province (14 su 41) con pericolosi livelli di inquinamento da nitrati; e un sistema di smaltimento dei rifiuti solidi che avviene ancora per la maggior parte in discariche spontanee e incontrollate.
Dopo importanti catastrofi ambientali (sempre citando la ricerca AEA, ricordiamo, nel 2000, la rottura di due dighe di contenimento di impianti minerari nei Carpazi, che hanno prodotto lo sversamento nel Tibisco e quindi nel Danubio di 100.000 m3 di acque inquinate da cianuro e poi di altre 20.000 tonnellate di scarichi tossici, provocando un’ecatombe di pesci e uccelli lungo tutto il corso romeno del Danubio fino al Delta), il governo ha cercato di incrementare gli investimenti nel settore, finora molto bassi rispetto alla media europea, attraverso, per esempio, la creazione di un Fondo Ambiente messo a disposizione dal Ministero, che finanzia progetti finalizzati al controllo e alla riduzione dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, che promuove l’utilizzo di tecnologie pulite, la protezione delle risorse naturali, la gestione dei rifiuti e la preservazione della biodiversità.
Per quanto riguarda le energie, sempre secondo lo studio dell’ Istituto Nazionale per il Commercio Estero, “la Romania detiene una gamma diversificata, ma quantitativamente limitata, di fonti di energia primaria (petrolio, gas naturale, carbone, uranio minerale) e dispone anche di un importante potenziale di fonti rinnovabili ancora da valorizzare“. Secondo la “Road Map dell’energia in Romania” – una guida per lo sviluppo energetico del paese – entro il 2015 dovrebbero entrare in funzione tra riabilitazioni e nuove centrali unità per la produzione di circa 7.300 MW e chiudere vecchie centrali ormai obsolete ( il 35% delle centrali hanno oltre 35 anni di vita, il 45% tra 25 e 35 anni ed il 20% meno di 15 anni) per circa 3.500 MW.
Anche l’energia prodotta da fonti rinnovabili pare un settore in crescita (ad oggi il totale della capacità installata non supera gli 80 MW), con a disposizione un potenziale notevole per quanto riguarda l’energia idroelettrica, l’energia solare, eolica, geotermica e la biomassa, ad oggi quasi completamente inutilizzato. Anche su questo fronte, sono stati per primi gli investitori e le ditte internazionali a rendersi conto della fortuna a disposizione: è stato chiuso da pochi mesi fa un contratto tutto italiano per la progettazione di due tra i più grandi parchi fotovoltaici della Romania. Sarà la Merloni Progetti a realizzare, a 200 km da Bucarest, nel sud del paese, su commessa di un importante investitore e operatore locale, due impianti fotovoltaici di 110.000 mq per un totale di 17 MW di capacità complessiva, 22 milioni di kWh di energia pulita all’anno che verrà interamente immessa nella rete.
Discorso molto complesso quello dei rifiuti, a cui il governo sta dando, anche sotto indicazione europea, una grande priorità, con interventi specifici per la realizzazione di sistemi integrati di gestione dei rifiuti, estensione dei servizi di raccolta, implementazione della raccolta differenziata, valorizzazione dei rifiuti e sviluppo dell’infrastruttura. Nonostante l’impegno di consistenti fondi europei (2 miliardi di euro), pare difficile vista la situazione attuale il raggiungimento degli obiettivi che la Romania dovrebbe raggiungere entro il 2020, per cui è previsto che venga riciclato il 50% del totale raccolto, il cui 40% deve essere utilizzato per la creazione di energia e di sistemi di cogenerazione.
Ancora un record in negativo per il paese di Dracula, che nel 2012 si trovava all’ultimo posto, insieme alla Bulgaria, per capacità di gestione e riciclo dei propri rifiuti. Il problema non è tanto la quantità di rifiuti prodotti, visto che, secondo uno studio diffuso dall’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, a fronte di un aumento generale della produzione di rifiuti, la Romania tra il 1995 e il 2009 ha registrato una crescita del 6% a confronto con il 15% di media europea e i rifiuti procapite prodotti annualmente dalla popolazione romena sono stati stimati sui 393 kg rispetto ai 524 kg della media europea (27% in piu’). Il problema è la raccolta e la lavorazione. Se in Europa i rifiuti urbani vengono stoccati nelle discariche (49%), inceneriti (18%) o riciclati (33%), in Romania la percentuale dei rifiuti depositati in discarica raggiunge ancora il 90% circa; considerando, per altro, che le discariche rumene spesso non sono in conformità con le normative europee. Per quanto riguarda la raccolta rifiuti, nel 2009 solo il 63% della popolazione era servita dal servizio di raccolta, e nel 2011 erano 698 le località attrezzate per la raccolta differenziata (carta, cartone, vetro, metalli, materie plastiche), ancora poco usuale nel paese.
A parte l’educazione ambientale – pratica veramente recente nei nell’Est – la carenza di infrastrutture è determinante per una reale trasformazione di gestione. Ora che i riflettori sono accesi su questo pezzetto di Europa e che i fondi a disposizione paiono generosi, è prevedibile però che si apra una bella gara per sfruttare queste opportunità di investimento. E speriamo che almeno questa volta sia questo popolo, così incredibilmente accogliente e dignitoso, ad arrivare per primo.
Alfonsa Sabatino