ANAB: 25 anni di impegno per un’architettura che tuteli ambiente e salute
“Nasce l’esigenza di inserire nel contesto della architettura una nuova disciplina, l’architettura bioecologica: è questa la nuova strada che noi indichiamo come l’unica attualmente capace di arginare il degrado dell’ambiente, dell’edilizia e del vivere dell’umanità”. Questa frase sembra scritta ieri: ormai si sente parlare di bioedilizia ovunque, e sta crescendo l’attenzione delle persone verso i materiali e i criteri con cui vengono costruite case, scuole, uffici. Se questi temi oggi sono così di attualità, lo si deve anche ad Anab: l’Associazione Nazionale per l’Architettura Bioecologica dal cui Manifesto fondativo del 1989 è stata in realtà presa la frase.
Dal documento, firmato dagli architetti Siegfried Camana, Gianfranco Carignano, Enrico Micelli ed Ermes Santi, sono passati 25 anni, ma i principi cardine di un nuovo modo di costruire in armonia con l’uomo e con l’ambiente erano già contenuti in quelle tre pagine scritte in modo semplice e chiaro. “La nostra motivazione principale era opporci al degrado dell’ambiente che ci circondava, ma anche a quello della nostra professione. Mentre gli edifici facevano male all’ambiente e all’uomo, avevamo l’impressione che gli architetti non stessero facendo il loro dovere morale: erano figure importanti per la società, ma erano diventati schiavi del potere, disposti a tutto per avere un incarico”, spiega Camana, attuale presidente dell’associazione.
L’altra questione che Anab ha sempre messo in cima alla propria agenda è quella della salute: “Il legame tra abitazione e salute non lo abbiamo inventato noi, ma preso dai Paesi d’Oltralpe, dove era già stato elaborato”. Negli ultimi decenni, infatti, le nostre case sono diventati luoghi di aria cattiva, soprattutto per i materiali costruttivi e gli arredi utilizzati: “Prima i materiali erano relativamente pochi e semplici, legati al territorio. Gli effetti negativi sulla salute nascono soprattutto dalla massa di materiali di origine petrolchimica che si sono sviluppati negli ultimi 50 anni. Sono migliaia, ma senza storia”. A cui Anab, fin dal suo manifesto, ne oppone altri che rispondano “ai seguenti punti fondamentali: siano possibilmente reperibili in loco; si privilegino quelli naturali non nocivi, che non siano stati resi inquinanti da trasformazioni strutturali, stravolgenti la loro composizione chimica; in ogni fase di utilizzo e trasformazione essi conservino costantemente la propria bioecologicità; siano riciclabili”. Tuttavia, ci tiene a precisare Camana, la bioarchitettura non deve fermarsi ai materiali: “La casa ecologica richiede un cambiamento di valori e di comportamenti. Noi siamo le prime case di noi stessi: per i “mattoni” che compongono il nostro corpo, dobbiamo scegliere cibi prodotti senza chimica e senza ogm. Alla fine il tema centrale è il rispetto, che dobbiamo avere verso noi stessi, gli altri, l’ambiente”.
Una concezione che inserisce l’architettura in un sistema più ampio, dandole un ruolo essenziale, come recitava già il Manifesto: “L’ architettura assume funzione essenziale in questa opera ‘di risanamento in quanto essa può tracciare il percorso per una ricalibratura del territorio, per un ripristino ambientale, per una riscoperta degli elementi fondamentali del vivere in sintonia con la natura. L ‘inserimento armonico dell’evento edilizio nell’ ambiente è indispensabile a tutti i livelli per ritrovare l’equilibrio tra natura e uomo anche attraverso l’intervento costruttivo”.
Per far passare concetti e approcci simili, che al confronto con i programmi di scuole tecniche e facoltà universitarie appaiono tutt’altro che scontati, Anab in questi due decenni e mezzo ha puntato molto sulla formazione: “La prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di organizzare i corsi, grazie anche ai colleghi tedeschi, svizzeri e francesi che ci hanno dato una mano nella divulgazione. Personalmente mi sono dedicato ai geometri: sono loro i tecnici di fiducia dei Comuni più piccoli, formare un geometra spesso significa evitare errori”. Se comunque su questo fronte molto rimane da fare, i primi risultati si sono visti: “I professionisti in generale si sono sensibilizzati, così come l’opinione pubblica. Le prime a mostrare interesse per il legame tra architettura e salute sono state le donne”.
Tra i temi su cui Aiab continua a impegnarsi c’è lo stop al consumo di suolo: “Bisogna piuttosto rivolgersi al riuso e salvare il già costruito. E poi rivitalizzare i centri storici: riportare le persone a vivere nelle aree più antiche delle nostre città, non lasciarle solo ai negozi”. Sulla salubrità degli edifici, “l’alleanza con i medici è vitale: perché facendo architettura sostenibile si possono prevenire certe malattie. Altra alleanza fondamentale è quella con l’agricoltura: vogliamo un’economia basata su fabbriche naturali – boschi e campagna – e una filiera alimentare libera dalla chimica”.
Per i 25 anni dell’associazione, sono stati organizzati eventi in tutta Italia, da Udine a Bologna, dalla Sicilia a Milano, fino a Urbino e la Sardegna. Il titolo del programma è “Le bombe di architettura naturale per salvare il mondo”. Anche se alcuni hanno percepito nello slogan, erroneamente secondo Camana, echi bellici, l’obiettivo era promuovere la costruzione di “case per la vita e non per la morte. Quando abbiamo iniziato siamo stati costretti a scegliere un nome che contenesse il prefisso “bio” per far capire cosa volevamo dire: oggi tutti cercano di accaparrarselo, mentre io a questo punto ne farei a meno. Per indicare il costruire sostenibile, basterebbe usare la parola architettura, con la A maiuscola”.
Veronica Ulivieri