Altromercato: 25 anni di sostenibilità integrata, tra ambiente, sociale ed economia
Esiste dagli anni Ottanta, ma proprio nel bel mezzo della crisi, quando molti ne temevano forse il declino, l’equo e solidale sta rivelando le sue potenzialità. Secondo la prima edizione dell’Osservatorio Altromercato del Vivere Responsabile, presentato in questi giorni a Milano in occasione dei 25 anni di attività del consorzio, il 60% dei cittadini è disponibile a cambiare il proprio stile di vita adottando comportamenti socialmente responsabili: “Il 27% della popolazione, e la percentuale è in crescita, è orientata a comprare prodotti che abbiano valori di responsabilità, e un altro 25%, se stimolato, è pronto a far propria questa sensibilità”, spiega il direttore generale di Altromercato Paolo Palomba, che forse non si aspettava dati così positivi.
Sì, è vero, il consorzio è la principale organizzazione italiana di commercio equo e solidale, è attivo dal 1988 e oggi conta 300 botteghe nel nostro Paese – oltre a distribuire i propri prodotti anche nei supermercati – e un fatturato all’ingrosso pari a oltre 50 milioni di euro, ma il fatto che 9 italiani su 10 sappiano della sua esistenza e ne riconoscano missione e valori è un risultato che fa ben sperare per il futuro.
La sua storia corre di pari passo con una certa presa di coscienza da parte dei consumatori, quell’idea che la sovranità popolare non si esprime solo nella cabina elettorale, ma anche, e sempre più spesso, con il carrello: “La sostenibilità sociale, ambientale ed economica per noi rientrano in un unico modello integrato. Tra i nostri consumatori, quelli più attenti all’impatto ambientale dei prodotti sono anche i più disponibili ad integrare gli altri due aspetti”, racconta Palomba. E anche il consorzio, pur partendo dalle regole internazionali che prevedono di “pagare in anticipo almeno il 50% di una fornitura, pagare un premium price rispetto ai mercati internazionali in modo da riconoscere l’impegno dei produttori, mantenere una relazione continuativa”, pone grande attenzione alla dimensione ambientale.
Oggi, su 4.500 prodotti alimentari commercializzati, oltre la metà è certificata biologica, ma pesa addirittura per il 60% sul totale degli acquisti. Il biologico, spiega Palomba, “è un modo per salvaguardare la terra e la sua fertilità, e allo stesso tempo uno strumento per valorizzare maggiormente i prodotti. In Paraguay, per esempio, lavoriamo con 1.500 coltivatori di canna da zucchero. Li stiamo incentivando a passare al biologico: tra poco aprirà uno zuccherificio che li abbiamo aiutati a realizzare, con una linea per lo zucchero di canna bio. E pochi sanno che il nostro è il caffè biologico più venduto in Italia”. L’approccio, in tutti i casi, è “trade, not aid”: aiutare i produttori a commercializzare i prodotti, ma non dare sussidi, e in quest’ottica il biologico può aiutare ad avere un maggiore sbocco sul mercato e una remunerazione più alta.
Da alcuni anni Altromercato pone particolare attenzione anche agli imballaggi: “Siamo stati i primi nel nostro Paese a lanciare i pacchetti di caffè senza alluminio , e quindi riciclabili al 100%”. Per la linea dei detersivi Safylla è stato studiato un particolare flacone che permette di stivare per ogni pallet 648 pezzi contro i 384 della bottiglia cilindrica tradizionale. “Lo studio del ciclo di vita del prodotto ha rivelato che il suo riutilizzo attraverso i sistemi di ricarica fa risparmiare l’80% delle emissioni di Co2 rispetto alla normale distribuzione”. E i tessili, che completano la gamma dei prodotti insieme a cosmetici e oggetti per la casa, “sono ove possibile ottenuti con fibre biologiche, tinti con colori naturali”.
Dopo anni di lavoro con realtà estere – oggi collabora con 170 organizzazioni di produttori in una cinquantina di Paesi – nel 2011 Altromercato ha avviato un progetto dedicato al nostro Paese, lanciando il marchio Solidale Italiano: “Comprende prodotti provenienti dalle regioni del Sud, dai terreni confiscati alle mafie, dalle economie carcerarie. Lo abbiamo creato perché ci siamo resi conto che anche qui ci sono tanti piccoli produttori responsabili, che però producono in condizioni difficili e fanno fatica ad arrivare al mercato”. Il prossimo passo, a cui si sta lavorando, è avviare una produzione di pomodori, arance e kiwi liberi dalle infiltrazioni mafiose e dal caporalato, ove possibile prodotti da cooperative di braccianti stranieri “che diventano produttori e non sono più schiavi”.
Le previsioni dicono che il carrello in futuro continuerà a essere meno pieno, ma sarà più responsabile. Quello che i consumatori chiedono, adesso, è un’offerta adeguata alle proprie richieste: “Spesso si dice che i consumatori nordeuropei sono più responsabili. Questo è vero solo in parte, perché molto dipende anche dall’offerta: su 10 caffè messi in vendita dalla Coop svizzera, 50 sono equosolidali, mentre in Italia sullo scaffale di un supermercato è già tanto se se ne trova uno. Non è solo colpa dei consumatori, adesso le aziende devono svegliarsi”.
Veronica Ulivieri