Alla ricerca di “Nuove Rotte” per l’agricoltura. Tra autocostruzione ed ecovillaggi
Due famiglie (con bambini), due cascine ristrutturate in autocostruzione con materiali naturali, 10 ettari di campi dove si lavora la terra dolcemente e senza trattamenti chimici, ispirandosi ai principi della biodinamica. E tanti corsi: da come si fa la pasta fatta in casa allo “yoga della risata”.
Intorno a Stefano e Ivana (con il piccolo Elia) e a Claudio e Michela (con Tommaso e Adele) si alternano decine di volontari che lavorano e fanno esperienza nell’associazione “La casa rotta” e nell’azienda agricola Le nuove rotte.
Un pezzo di vita lungo dieci anni per Stefano Vegetabile (nomen omen) che prima ha abbandonato il lavoro in un ufficio tecnico: “Lavoravo alla realizzazione di prototipi, poi mi sono laureato in antropologia e quando è nato mio figlio mi sono lanciato nella ristrutturazione della cascina e poi nell’azienda agricola”. La moglie Ivana, invece, lavorava nel restauro di chiese.
L’obiettivo di Stefano e compagni di avventura non è solo il recupero e la coltivazione di varietà in via di estinzione agricola – dalle melanzane ai pomodori – o l’organizzazione di corsi. Si vola più in alto: “Puntiamo a creare un ecovillaggio“, spiega Stefano. Un traguardo sociale per sperimentare una nuova forma di ruralità: “Un centro abitato moderno dove l’uomo vive in armonia e cooperazione con la natura – scrivono nel loro sito Internet – sperimentando nuove tecnologie e nuove abilità per creare un modo di vivere più sostenibile, pacifico e diverso”. Ecologia innanzitutto, ma con un progetto sociale, da realizzare a San Bartolomeo, frazione del Comune di Cherasco, a 10 minuti da Alba, in provincia di Cuneo.
Tutto è iniziato dall’incontro tra le due famiglie: “Noi eravamo un po’ di tempo a lavorare all’idea di realizzare un ecovillaggio; invece Claudio e sua moglie avevano comprato una cascina a San Bartolomeo dove volevano portare avanti attività sociali, esperienze comuni, un bistrot, un forno comunitario. La casa era da ristrutturare”, ricorda Stefano, “ci siamo conosciuti e abbiamo capito che potevamo unire i due intenti. Siamo partiti con la ristrutturazione nei week end della prima cascina utilizzando materiali del luogo come argilla e paglia. Abbiamo costruito quasi tutto noi a parte il tetto affidato ad una ditta esterna”.
Dalla teoria alla pratica, per dare concretezza all’utopia. Senza dimenticare l’aiuto affettuoso dei vicini: “I ristoranti della zona ci hanno dato delle bottiglie usate, sono servite per fare il sottofondo al pavimento. Almeno 200 metri quadri con materiale di recupero“. Gran lavoro, ma “l’impegno del fine settimana, non bastava. Poi ci siamo accorti che mancava la parte agricola e così abbiamo trovato una cascina vicina, a piedi una ventina di minuti dalla prima, e dopo un anno di affitto l’abbiamo comprata insieme ai terreni”.
A quel punto Claudio (geologo) e Michela (lavora da Slow Food) hanno continuato la ristrutturazione e l’organizzazione di eventi di carattere sociale. Mentre Stefano e Ivana si sono dedicati alla parte agricola del progetto: “Abbiamo circa 10 ettari che definiamo come organismo agricolo, termine moderno per indicare una fattoria dove si produce un po’ di tutto e si ha qualche animale – spiega Stefano – Tanto lavoro manuale perché l’obiettivo è di creare una sinergia con la natura, per generare un microorganismo in un ambiente sano dove non si utilizzano sostanze chimiche“. Più zappa e olio di gomito, dunque, e “il meno possibile macchine per lavorare il terreno”. Si coltiva scegliendo, per esempio, macerata di equiseto, propoli e altri preparati naturali senza lasciare nessuno spazio al prodotto fitosanitario chimico.
In questo modo è stato possibile recuperare decine di varietà desuete di pesche, pomodori, melanzane. “Ci dedichiamo anche all’autoproduzione di semi e piantine e li adattiamo al suolo, con buoni risultati – sottolinea Stefano – In una annata tragica si può usare anche una volta il rame, ma è l’ultima carta, quella di riserva”. Ben oltre il biologico, per intenderci.
Tutto perfetto dal punto di vista ecologico, ma la sostenibilità economica regge? “Vendiamo principalmente a gruppi di acquisto e ristoranti della zona. Facciamo cassette per le famiglie con un prodotto insolito, tante microproduzioni di alta qualità perché abbiamo 28 varietà di pomodori e quindi ci basiamo su 10/20 piante non su 1.000. Collaboriamo anche con il progetto Greeneria. Riusciamo a servire molto bene persone con alta cultura culinaria e ristoranti di una certa categoria, mentre facciamo fatica a spiegare ad altri… “.
Dalle due famiglie, intanto, la comunità sta crescendo: “Ci stiamo allargando, ci sono un altro paio di persone in affitto e molte altre che chiedono di entrare. Ospitiamo soci di Wwoff, anche 40 all’anno e vengono pure da Giappone e Cina. Ci sono altre 2/3 famiglie molto interessate. L’idea, come dicevo, è di fare un ecovillaggio, una comunità intenzionale e sostenibile. Qui non c’è un leader – precisa Stefano – ma un vivere insieme, però con una sostenibilità economica. Non ci siamo ancora arrivati, ma l’obiettivo è chiudere il cerchio. Non siamo isolati, ma aperti all’esterno”.
Gian Basilio Nieddu