Wikibook, tra “green production” e “green business”
Un’opera collettiva, un “wiki-libro” in cui la sostenibilità diventa una narrazione a quarantasei voci: gli amministratori locali, imprenditori, cittadini, docenti universitari, ricercatori e operatori del settore presenti all’ultima edizione di Ecomondo, l’expo del riciclo tenutasi a Rimini lo scorso novembre.
Dai loro interventi, elencati a fine libro e siglati nel testo, la Regione Emilia-Romagna ha coniato il “Wikibook Green Economy”, un quaderno partecipato dall’accattivante fotografia e coerente nella veste grafica, rigorosamente in carta riciclata. Liberamente consultabile on-line il testo, secondo la prassi wiki, è aperto a commenti sul sito.
“La green economy per noi è la rivoluzione industriale del XXI secolo” spiega Gian Carlo Muzzarelli, Assessore Regionale alle Attività Produttive ed Economia Verde, snocciolando cifre che ben rendono le dimensioni di questo settore: circa 2 mila imprese, oltre duecentomila addetti e più di 61 miliardi di euro di fatturato.
Il Wikibook è un testo che cerca di declinare la green economy in un linguaggio chiaro e concretamente apprezzabile: “parole inglesi che (…) in italiano, anzi in emiliano-romagnolo, assumono un significato del tutto nuovo. Green economy nella nostra Regione si traduce in imprese, lavoro, ‘rivoluzione verde’ ” un treno in corsa che sta già cambiando il volto del territorio.
L’economia verde è rappresentata “come somma di due universi: quello della green production e quello del green business. Il primo comprende le imprese che producono in maniera ecocompatibile, attraverso una serie di strumenti quali certificazioni ambientali di processo e di prodotto, adozione di tecnologie per il risparmio delle risorse o per la riduzione degli impatti (…); imprese che, pur operando in settori non necessariamente green generano un beneficio ambientale diretto per il territorio che le accoglie”.
Al contrario si parla di “green business” rispetto a quelle imprese che “operano all’interno di mercati dichiaratamente ambientali, quali rifiuti, disinquinamento, ciclo idrico integrato, energia. Non è detto che tali imprese operino sempre riducendo il proprio impatto ambientale: sono green perché il loro mercato di riferimento lo è, non necessariamente perché lo sono loro stesse. L’intersezione tra questi due mondi – quello del green production e quello del green business – rappresenta l’eccellenza della Green Economy”.
Dal testo emerge come questa accezione di green economy porti con sé un’ampia gamma di professionalità, con riscontri positivi sul versante occupazionale. Gli attuali green workers italiani sono stimati tra le 800.000 e le 950.000 unità, con punte nei settori della forestazione (410.000 occupati), del trasporto pubblico (116.000 lavoratori), dell’agricoltura biologica (più di 50.000 addetti), della chimica verde (16.000 occupati tra ricerca e produzione). Uno studio di Unioncamere e Fondazione Symbola ha rilevato inoltre che più del 40% delle professioni ricercate oggi devono avere competenze sull’ambiente, con un numero medio di nuovi occupati annui di duecentomila persone.
Tanti gli esempi, nel libro, di “collegamento tra green economy e responsabilità sociale d’impresa”. Tra i molti oggi disponibili sul mercato sono raccontati i casi di Popolini, la ditta asutriaca che produce pannolini lavabili, con punti vendita in tutta Europa e l’esperienza dell’Ecobottega di Noale (Venezia), con detersivi e pasta venduti alla spina, dove “risulta evidente un’interpretazione della green economy come processo sociale, basato sull’interazione virtuosa tra imprese che cercano motivi di vantaggio competitivo, consumatori consapevoli, istituzioni che regolano, sensibilizzano e forniscono gli strumenti di certificazione e garanzia”.
Tra i contributi esposti, l’idea che green economy sia dunque un’opportunità “diffusa” e non un’esclusiva delle imprese, come dimostra l’ipotesi, allo studio, di creare“banche del rifiuto”, gestite da cooperative sociali, ove il cittadino possa conferire – dietro pagamento – rifiuti ed imballaggi (i quali, determinano in media circa il 5% del prezzo del prodotto).
“L’attuale crisi economica ha un ruolo fondamentale di rottura e di apertura di una fase di transizione. Quella che stiamo vivendo, infatti, non è una crisi di carattere congiunturale, ma una crisi sistemica con valore strutturale (TeA): la via per il superamento di questa fase transitoria e l’approdo al nuovo paradigma economico è una Green Economy relazionale, dove l’impresa adotta criteri etici e di responsabilità nell’approccio al contesto in cui opera, si confronta con un cittadino informato e coscienzioso nelle scelte, grazie anche ad un’amministrazione pubblica che non rinuncia ai propri compiti di educazione/sensibilizzazione e dà il buon esempio attraverso i propri profili di consumo”. È questo l’approccio definito di sustainable economy, per la sua valenza sociale, per il controllo della filiera e la costruzione di modelli locali di sviluppo.
Cristina Gentile