Un nuovo Rinascimento è possibile. L’impresa secondo Morace e Lanzone
Fare impresa nel XXI secolo guardando al Rinascimento. In Italia si può e c’è chi lo sta facendo.Bruno Pampaloni ne ha parlato, per Greenews.info, con Francesco Morace e Giovanni Lanzone, che hanno raccolto dieci case histories d’eccezione.
Un progetto, dieci aziende e un libro per raccontare come fare impresa seguendo alcuni valori fondativi: la passione per il lavoro, il rispetto per l’ambiente, l’armonia e il senso del bello, l’attenzione al territorio in cui si opera, alla cultura del creare e del produrre in maniera sostenibile. Una visone d’insieme che guarda allo spirito del Rinascimento e mediante la quale l’imprenditore si pone al centro dei saperi diventando il capo di una vera bottega rinascimentale, formando e avvalendosi dei talenti più diversi per realizzare prodotti la cui importanza vada ben oltre la loro mera funzione d’uso.
In attesa di affinare nuovi strumenti concettuali utili a interpretare questo difficile momento storico gli antichi valori rinascimentali sembrano così in grado di fornire, alle aziende più innovative del nostro paese,“nuove indicazioni strategiche per la difesa e la diffusione del Made in Italy sui mercati globali ”.
Ne è convinto il sociologo Francesco Morace, responsabile, insieme al filosofo Giovanni Lanzone, di The Renaissance Link, un’associazione che accoglie professionisti o ricercatori di varie discipline uniti dalla stessa visione del mondo e del modo di fare impresa. Dalle loro ricerche è nato un libro (“Il talento dell’impresa. L’impronta rinascimentale in dieci aziende italiane”, fotografie di Martino Lombezzi, Nomos Edizioni): dieci imprese “che incarnano l’idea di italianità da cui è partito il nostro progetto” e dieci dialoghi con imprenditori “la cui passione per il fare è assai vicina allo spirito creativo tipico della cultura rinascimentale”. Bonotto, Coccinelle, Deborah Group, Fratelli Guzzini, Antonio Frattini, Shenker, Sinv, Veneta Cucine, WebScience e Yoox Group, per cominciare.
Ma il progetto è un osservatorio permanente sulle qualità produttive italiane e si pone, dunque, come aggregatore di molte altre aziende. “Ci rivolgeremo anche a realtà più grandi, ai campioni universalmente riconosciuti del Made in Italy. Punteremo poi su etno-territori come quelli del Sud Italia o sul settore agroalimentare” afferma Morace. Uno degli obiettivi dell’associazione è quello di dare voce a “tutti gli imprenditori che si riconoscano nel nostro manifesto.” Un decalogo per un’“alleanza tra progetto imprenditoriale, qualità territoriale e talento artistico”, che intende ridefinire l’“impresa come elemento strutturale per costruire un nuovo modello sociale, un territorio vivo, una visione politica.”
L’Italia ha uno straordinario patrimonio – artistico, culturale e ambientale - da difendere e “le nostre aziende potranno imporsi sui mercati globali soprattutto se sapranno valorizzarne e comprenderne le potenzialità di business”. Secondo Morace si tratta di una scelta decisiva, di un cambio di paradigmi poiché si tratta di ribaltare una concezione che vede nel legame con il territorio un semplice arroccamento, un atteggiamento difensivo da cui non vi è nulla da guadagnare. Non a caso la città diventa “laboratorio aperto d’incontri ed esperienze culturali, formative, interdisciplinari, in cui le imprese illuminate tornino a giocare un ruolo decisivo nell’organizzazione sociale e nell’espressione del talento.” Diventa quindi imprescindibile una convergenza fra le nuove frontiere del web e un capitalismo responsabile, incoraggiare modelli operativi basati sul “riconoscimento del valore più che sul profitto, sulla co-creazione più che sulla gerarchia, sulla sfida più che sulla stabilità.”.
Ecco allora casi come Deborah Group, “che da sempre privilegia la tollerabilità, la sicurezza, la qualità dei processi produttivi sulle promesse miracolistiche di sostanze invece nocive alla salute”. Nessuna concessione ad una “versione cosmetica” del greenwashing insomma. Cura per il corpo di “donne normali” (e non modelli stereotipati) e rispetto, vero, per l’ambiente.
Dalla cosmetica alla plastica. Come emerge dal lavoro di Morace e Lanzone – la “precisione scientifica per monitorare i processi produttivi, la necessità di riciclare o di riutilizzare i materiali plastici, il rispetto per l’ambiente” sono punti qualificanti anche in un caso come laFratelli Guzzini di Recanati, il paese di Leopardi, nelle Marche. Nella prospettiva dunque di un capitalismo responsabile nei confronti degli “altri mondi” e attento a valori di sostenibilità ambientale rientrano il Progetto Re-Nature, pensato per introdurre sul mercato alcuni prodotti realizzati con materiale acrilico di scarto, proveniente dagli sfridi di produzione, e l’alleanza con Eataly sul tema della gastronomia di eccellenza.
“E su tutte queste cose bisogna essere davvero credibili e rigorosi perché i successi del futuro si baseranno su informazioni ineccepibili” spiega Morace. Anche se esiste ancora molto marketing a buon mercato e tanta comunicazione fuorviante la via sembra segnata. “E’ solo una questione di tempo: chi non sarà in grado di adeguarsi verrà spazzato fuori dal mercato. D’altra parte un cambiamento simile è già avvenuto quando furono definiti gli standard dell’igiene. Fino ai primi del Novecento non ne esisteva alcuno. Poi, nel secondo dopoguerra, l’igiene è diventata una necessità e un obbligo per chi produce”. Perché è ormai evidente che la sostenibilità ambientale, la cura dei processi produttivi, la creatività e la passione per il fare sono valori che appartengono all’immaginario collettivo di milioni di persone in tutto il mondo e il cui rispetto è alla base di case histories di successo. “Il vero problema è capire quanto ci vorrà perché questa tendenza diventi una realtà matura e condivisa a livello mondiale. Può darsi che servano anni o magari ci si arrivi in pochissimo tempo. Ancora non siamo in grado di saperlo”.
Bruno Pampaloni