Privati dell’acqua? Tra bene comune e mercato
“…In una località austriaca, ogni anno si svolge una cerimonia in cui i cittadini portano al sindaco un bicchiere d’acqua del lago e lo obbligano a berlo, per dimostrare quanto sia affidabile il sistema di depurazione…quanti sindaci italiani si azzarderebbero ad imitarlo?…”
Un breve aneddoto con cui Antonio Massarutto, docente della Bocconi e ricercatore IEFE, dà inizio a una approfondita riflessione sullo stato di salute del sistema idrico del nostro paese. Un sistema, come si legge in apertura, vetusto, incapace, per la gran parte, di fornire un servizio adeguato alle aspettative di un grande paese moderno, quale l’Italia si vanta di essere, e con una qualità ambientale, seppur migliorata, ancora lontana dai traguardi imposti dalle direttive europee.
Ad aggravare il quadro non idilliaco si aggiunge l’incapacità del sistema paese di trovare un’efficace forma di gestione di una delle risorse più importanti per la vita dell’uomo. Il dilemma tra gestione pubblica e gestione privata – che ha interessato il referendum di giugno e torna ora attuale con la discussione sulle liberalizzazioni della nuova manovra finanziaria - è presente in tutti i paesi del mondo, ma mentre altrove si operano, solitamente, delle scelte, in Italia la situazione sembra paralizzata dalla difesa di principi più demagogici che di interesse comune.
Parte da queste premesse il bel saggio: Privati dell’acqua? Tra bene comune e mercato (Le Edizioni del Mulino, pag. 256, euro 16.00). Un libro capace, attraverso l’uso di una prosa chiara e scorrevole - sempre attenta a non eccedere in tecnicismi da addetti ai lavori – di fare chiarezza su un tema fortemente dibattuto, ma poco approfondito.
La prima fondamentale distinzione che l’autore ribadisce, in più occasioni, è tra la gestione dell’acqua pubblica e la gestione pubblica dell’acqua. Per Massarutto nei dibattiti televisivi si confonde troppo spesso, in modo a volte malizioso, la privatizzazione della gestione della risorsa acqua con la privatizzazione del bene acqua. Da questo equivoco scaturirebbe la paura, da parte dei cittadini (emersa chiaramente nel referendum), di affidare a soggetti privati il potere sul cosiddetto “oro blu”. Una paura che andrebbe ascoltata e guidata e non solo alimentata da parte della classe politica, spesso più interessata alla conservazione dello “status quo” e alla spartizione di incarichi pubblici nei consigli di amministrazione, che al reale progresso del paese .
Ecco perché, con la precisione che contraddistingue l’intero volume, Massarutto focalizza l’attenzione del lettore, prima di tutto, sul concetto di gestione dei servizi idrici, che non comprendono solo l’acqua che sgorga dai rubinetti di casa ma anche il sistema fognario, quello di depurazione oltre che l’immensa rete di tubature che attraversa in lungo e in largo lo Stivale.
Si arriva così al nodo centrale della questione, ovvero, se l’ingresso di soggetti privati nella gestione dell’acqua possa costituire una minaccia al diritto di accesso all’acqua da parte di tutti. Il libro risponde alla domanda in modo esaustivo, privo di condizionamenti di parte e con una particolare attenzione alle ricadute economiche che scelte più o meno felici potrebbero determinare. Per far ciò, viene offerto al lettore un quadro ben documentato su come ad oggi vengano gestiti nel nostro paese i servizi idrici e sulle molteplici possibilità per migliorarne l’efficienza, avvicinandoci finalmente agli standard qualitativi dei paesi del nord Europa.
L’autore, in chiusura, ci ricorda che tutti parlano di diritto all’acqua, dimenticando i doveri che abbiamo verso l’acqua. Una risorsa troppo spesso data per scontata e affidata a una cattiva gestione che rischia di lasciare i nostri figli e nipoti privi – più che privati – dell’acqua.
Mariano Salvatore