“Piante spontanee alimentari”, una preziosa guida tra storia, cucina e tradizioni
“Piante spontanee alimentari. Fitoalimurgia del Basso Veneto tra storia, cucina e tradizioni” (Edagricole, 320 pp. €37.00) è una guida sorprendente, pubblicata, in prima edizione a dicembre 2015. Un libro per i cultori della botanica e per gli appassionati della cucina naturale e delle tradizioni contadine, in cui gli autori (Maria Teresa Vigolo, Giuseppe Zanin e Maria Clara Zuin, del CNR e dell’Università di Padova) esaminano, in schede molto dettagliate, una cinquantina di specie spontanee, per la maggior parte presenti su tutto il territorio italiano, descrivendone le principali caratteristiche botaniche ed ecologiche, il loro uso in cucina e alcuni aspetti legati ai costumi e alle tradizioni del Basso Veneto, da cui è partito lo studio.
Partiamo dalla parola “fitoalimurgia“, tanto oscura quanto attuale. Come raccontano gli autori nell’Introduzione, il termine alimurgia significa infatti “alimentazione nei momenti di necessità e di urgenza” e compare per la prima volta nel 1767, in un’opera dello studioso Giovanni Targioni Tozzetti, “Alimurgia o sia modo di rendere meno gravi le carestie proposto per il sollievo dei popoli“. La parola sembra poi scomparire dai vocabolari per molti decenni, per riapparire dopo la Prima Guerra Mondiale, nel 1918, in un saggio del piemontese Oreste Mattirolo, che estende il significato e il campo d’azione dell’alimurgia al di là della ricerca dei surrogati della farina per il pane, a tutte le piante erbacee, cespugli o alberi spontanei che possano fornire alimento nei momenti del bisogno.
Vinta la fame, dopo le due Guerre Mondiali, la fitoalimurgia diventa campo di studio dell’etnobotanica (lo studio dell’uso delle piante nelle tradizioni dei popoli), per poi approdare alla gastronomia contemporanea, che – scrivono gli autori – “si alimenta non solo dei sapori e dei piaceri della gola ma anche delle emozioni e delle storie legate alle piante, saziando una fame non più fisica ma culturale“.
Per questo il testo – frutto di un progetto di ricerca finanziato dalla Fondazione Raimondo Franceschetti - è arricchito da una serie di interviste a testimoni, raccoglitori abituali, che raccontano, anche in dialetto, ricordi famigliari del passato ed escursioni contadine attuali. Integrate da informazioni tratte da antichi testi che offrono curiosi aneddoti sugli usi farmaceutici – ma anche scaramantici – delle piante spontanee.
Gli autori raccolgono infine diverse utili ricette da sperimentare nella propria cucina di casa e propongono alcune indicazioni pratiche per realizzare un “giardino fitoalimurgico“, ovvero un orto domestico con piante spontanee, come la Barba di frate, l’Asparago selvatico, la Cicoria, il Gelso, la Malva, il Raperonzolo, la Gaggia, il Papavero, il Topinambur, la Violetta e molte altre piante edibili. Per trasmettere alle nuove generazioni “globalizzate” un prezioso sapere costruito in secoli di rapporto tra uomo e natura.
Andrea Gandiglio