L’Amazzonia di Marcia Theophilo, il respiro del mondo
Non ha armi Marcia Theophilo, ma è una guerriera. Una combattente amerindia che si batte da più di quarant’anni per la difesa della foresta amazzonica, che chiama «il respiro del mondo». Marcia, testimonial Unesco 2010 per la biodiversità, è antropologa e poeta e ha scritto molti libri per denunciare la deforestazione selvaggia della sua terra, un «olocausto degli alberi» che riguarda tutti. «Io in realtà sono un’antiantropologa, perché attraverso la poesia cerco di entrare dentro le cose, di raccontare l’anima della foresta», dice sorridendo. All’età di 69 anni, continua nella sua battaglia: gira il mondo, incontra bambini, studenti universitari, presenta libri, partecipa a recital di poesie. Perché «noi siamo alberi e se muoiono loro moriamo anche noi». Oggi pomeriggio, al Pisa Book Festival, Marcia è stata premiata con il premio Green Book per il suo libro Amazzonia sempre… (Darwin Edizioni, pp. 112, 15 euro), una raccolta di poesie corredata dalle bellissime illustrazioni della peruviana Iole Eulalia Rosa e da un glossario con tutti i termini scientifici della foresta più grande del mondo. Da alcuni anni, diversi gruppi di intellettuali ed ecologisti sostengono la sua candidatura al premio Nobel per la letteratura.
D) Marcia Theophilo, da dove nasce questo legame profondo con la foresta?
R) La mia nonna paterna veniva dalla foresta. E’ stata la prima persona che mi ha raccontato i miti della foresta e mi ha fatto sentire questa forte sintonia con la natura. Io attraverso le poesie ho voluto scrivere tutte quelle storie. Ho creato una vera mitologia dell’Amazzonia, dei fiumi, degli alberi, degli animali. Per gli Indios, tutti gli esseri della natura sono sacri e il mio popolo ha verso di loro hanno un rispetto reverenziale. Gli alberi sono il nostro respiro, noi siamo gli alberi.
D) E’ questo che gli Indios hanno da insegnare all’uomo occidentale?
R) Sì, l’Amazzonia è prima di tutto una cultura di rispetto e di difesa del pianeta. E’ anche una metafora del rapporto strettissimo che c’è tra l’uomo e la natura: noi siamo parte di questo ecosistema. Ci sono stati momenti storici tragici in cui tutti dovevamo dire: noi siamo ebrei, o noi siamo palestinesi. In questo momento tutti dobbiamo dire: noi siamo alberi».
D) Un’affermazione che nei paesi industrializzati suona strana…
R) L’ambiente è secondo me ciò che oggi c’è di più rivoluzionario. E’ dall’ambiente che deve partire l’inizio di un nuovo pensiero. Oggi i giovani, al contrario delle persone più anziane, sono sempre più appassionati a questo tema, sentono con fastidio la pressione di un mondo ottuso, che pensa solo ai soldi.
D) Lei viaggia molto. Non ha mai nostalgia dell’Amazzonia?
R) No, mai. Perché io sono l’Amazzonia, io ho l’Amazzonia dentro. Io sono un essere della foresta, e dentro di me porto le ferite dell’Amazzonia distrutta. Per uscire dalla mia terra e arrivare al mondo ho accettato la mia cultura e ho studiato. Non ci si può approcciare al resto del mondo in modo naïf.
D) Marcia, lei ha dedicato tutta la vita alla difesa della sua terra. E’ una missione?
R) No, assolutamente. La missione è una cosa esterna. Io quello che faccio lo sento dentro di me. Io sono quello che faccio.
D) In questi giorni a Nagoya è in corso la Conferenza della parti sulla biodiversità. Si potrebbero prendere delle decisioni anche per fermare la deforestazione. E’ fiduciosa?
R) Non voglio parlare di politica. Io non posso fare altro che denunciare. All’inizio la mia è stata una denuncia molto dura e soprattutto conoscitiva. Negli anni Settanta, quando il governo mi ha esiliato e mi sono trasferita in Italia, ho pubblicato libri molto duri. Poi ho capito che la vera denuncia deve arrivare anche al cuore delle persone e non solo al cervello: così ho cominciato a partecipare a spettacoli e recital di poesie, che emozionano molto la gente. Spero di non diventare così importante che qualcuno decida di farmi sparire. Sto parlando seriamente.
D) Marcia, ha paura? Ha mai avuto paura?
R) No, mai. La mia battaglia me la porto dentro, la sento. Sono una combattente, non posso avere paura.
D) Nelle sue poesie si è paragonata a volte al Kupahúba. Che cos’ha di particolare questo albero?
R) Nella mia vita, ho dedicato agli alberi più di 400 canti. Il Kupahúba è un albero femmina, ed è considerato sacro. L’olio di questo albero è un antibiotico naturale, cura le ferite e anche il cancro. Per questo l’ho scelto, pensando alle ferite che l’uomo ha causato alla foresta:
Albero da te ho preso il dolore selvaggio
quei lamenti nell’aria, nel fiume
fuggono gli animali dai tuoi rami-rifugio
suoni assordanti di scimmie e araras
il tronco annerito dal fuoco cade.
Il bradipo si muove lento, silenzioso
l’ariranha e il tamanduá
orecchio attento ad ogni rumore.
Gli alberi raccontano la loro storia
La loro vita quando è sommersa nelle acque,
fra i pesci che si nutrono dei loro frutti.
Già nel tramonto si alzano i suoni
gridano gli uccelli storditi
negli alberi i jaburus i macucus gli inhambu.
Nel sottobosco il vento è fermo.
Indietro nel tempo i colori vibranti
pubescenti, gonfi di acqua
oggi è giallo, il colore verde all’origine.
Ossa, pezzi di legno, migliaia di insetti.
Si accende un fuoco che abbaglia, acceca.
Chi può togliere questa freccia senza punta?
dove possiamo deporre questo male?
In tutti i luoghi della terra
suoni interferiscono, ricordi di morti.
Il cielo che oggi ti accompagna è senza stelle.
(…)
Respira: è ancora qui la vita
ancora un poco, continua
respira non fermarti
respira, respira, continua
è ancora qui l’inizio della vita.
(Marcia Theophilo, estratto della poesia “Dall’Amazzonia a New York”, dal libro “Amazzonia sempre…”)
Veronica Ulivieri