La Mela verde
Con ”La Mela verde” di Ilaria Burgassi, da New York, diamo inizio ad una serie di “impressioni di viaggio” dei nostri inviati all’estero per cercare di capire meglio, attraverso semplici dettagli e indicatori di tendenza, come viene interpretata e vissuta la sostenibilità ambientale nei principali Paesi del mondo. I prossimi interventi saranno di Andrea Gandiglio dalla Cornovaglia (Regno Unito) e da Vancouver (Canada) e di Elena Marcon da Mumbai (India).
New York, la Grande Mela, città delle mille luci e dei mille grattacieli, dei milioni di abitanti che vivono uno vicino all’altro, dell’architettura che si estende in verticale per fare spazio a tutti. A prima vista l’idea è quella di una metropoli inquinata e poco all’avanguardia in quanto a sostenibilità ambientale. Come spesso accade, tuttavia, l’apparenza inganna o fornisce una visione parziale delle cose e quello che potrebbe essere considerato un mero deserto di cemento, spazzatura e gas di scarico, può, per altro verso, costituire un buon modello di responsabilità ambientale urbana.
Secondo recenti studi, infatti, New York risulta addirittura la città più verde degli Stati Uniti essendo quella che brucia meno litri di benzina e con il minor numero di auto in circolazione, oltre ad essere quella che consuma meno energia elettrica, ammassa meno rifiuti ed emette meno CO2 per abitante.
Entrando nello specifico, ben il 77% della popolazione di Manhattan non ha una macchina e, estendendo la statistica anche alle zone di Brooklyn, Queens, Bronx e Staten Island i possessori di una vettura non superano il 46%.
Bus, metropolitana, bici o gli ecologici “piedi” sono il mezzo di locomozione di cui l’82% dei residenti a Manhattan fa uso quotidianamente. Questo consente una notevole riduzione dei gas serra immessi nell’atmosfera: ogni abitante produce annualmente 7,1 tonnellate di CO2 rispetto alla media di 24,5 tonnellate degli altri americani.
La densità urbana di New York diventa poi, paradossalmente, un’ulteriore arma a favore della tutela dell’ambiente: la concentrazione di 8,2 milioni di abitanti nello stesso luogo ha delineato infatti uno scenario di sviluppo verticale della città in cui è praticamente impossibile la costruzione di parcheggi e di conseguenza non è conveniente muoversi in automobile.
Tuttavia, se dal punto di vista dell’inquinamento prodotto dalle vetture in circolazione, l’alta densità abitativa risulta essere un vantaggio, non si può dire la stessa cosa dal punto di vista delle emissioni di carbonio degli edifici. Esse sono infatti causate dal massiccio consumo energetico degli immobili, che costituisce i due terzi delle emissioni totali della città. Per affrontare il problema, l’amministrazione locale ha promosso una campagna al fine di diminuire il consumo energetico del 30% entro il 2030.
La campagna si articola attraverso una serie di normative e di incentivi volti alla diffusione dei cosiddetti green building, come gli edifici dotati di green roof, ovvero un tetto a giardino, in grado di proteggere dalle escursioni termiche, di conservare l’umidità utile e di raccogliere l’acqua piovana che verrà destinata alle piante e ai servizi igienici. Questi edifici sono interamente costruiti utilizzando materiali riciclati (o comunque rinnovabili nel tempo) e che non necessitano dunque di spazi attrezzati per lo smaltimento. Eventuali “scarti” vengono riutilizzati per altri edifici.
Un esempio di questa architettura d’avanguardia è il One Jackson Square, un palazzo in vetro e acciaio che si sta affermando come manifesto di un nuovo trend di edilizia metropolitana green. Proprio per incoraggiare questa tendenza, è stato recentemente promosso il Green Building Contest, una competizione in cui verrà premiato l’edificio ecologico che più sarà in grado di incarnare la perfetta sintesi di tecnologia moderna e design sostenibile.
Il sindaco Michael Bloomberg ha inoltre inserito, nel suo piano a favore di uno stile di vita ecocompatibile, una normativa che prevede che tutti gli edifici oltre i 4.000 mq di superficie debbano possedere un “passaporto energetico”, ovvero una certificazione di efficienza energetica rinnovabile di 10 anni in 10 anni. La regolamentazione, che dovrebbe essere definitivamente approvata entro il 2010, diventerà attiva a partire dal 2013 ed è previsto uno stanziamento di 16 milioni di dollari per aiutare i proprietari delle abitazioni ad adeguarsi ai nuovi standard. Grazie a questi fondi si prevede la riduzione di 3 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 in un anno.
Alla scorsa estate risale invece il lancio dell’iniziativa, sempre del sindaco Bloomberg, a sostegno dell’installazione di turbine eoliche in cima ai grattacieli di New York. Queste dovranno essere strutturate in modo da fornire direttamente alle case l’energia necessaria, senza inviarla alla rete elettrica. L’Energy Research and Development Authority offrirà incentivi ai proprietari delle case coprendo il 50% del costo iniziale delle turbine.
Il futuro che la città di New York sta cercando di costruire pare dunque essere orientato, sempre più, in una direzione sostenibile, con una particolare attenzione ai trasporti e all’edilizia quali principali drivers di cambiamento: meno auto, grattacieli ecologici, incentivi per la diffusione dei pannelli solari e di turbine eoliche. Un trend che si riscontra anche nelle iniziative e nella comunicazione delle aziende. Starbucks, con Shared Planet, o le grandi marche di acqua minerale, come Fiji o Poland Spring, sono solo alcuni dei nomi impegnati sul fronte della responsabilità sociale e ambientale, supportate da agenzie di comunicazione come Green Team Usa, specializzatasi nella green communication.
Leggendo i dati sulle emissioni di CO2 della città di New York - sicuramente veritieri, ma poco proporzionati se rapportati alle esigenze di consumo di beni e servizi dei newyorkesi - sorge tuttavia spontaneo un dubbio: che tanta virtù sia facilitata dal far produrre gran parte dei beni e servizi, qui goduti, in altre zone d’America o del mondo (dove le emissioni saranno sicuramente maggiori) per far fronte alle necessità della Grande Mela. Come sempre, non è tutto oro quello che luccica.
Ilaria Burgassi