Connessi e sostenibili: crescono anche in Italia i green social network
Non di solo Facebook (e Twitter, Instagram, Linkedin…) è fatto l’universo social. Se la creatura di Marc Zuckerberg, che ha appena compiuto dieci anni, ha aperto la strada all’ultima rivoluzione digitale su scala globale, non passa giorno senza che una nuova startup tenti l’avventura delle reti sociali sul web. E, sebbene solleticare l’esibizionismo sia la chiave riconosciuta del successo “social”, anche il settore più sobrio dell’innovazione sociale e ambientale ha giocato le sue carte.
In principio fu WiserEarth (ora solo Wiser.org), la più grande comunità virtuale internazionale dedicata alla sostenibilità ambientale. Lanciato in occasione dell’Earth Day 2007, Wiser.org era inizialmente un enorme database di organizzazioni no profit attive su problematiche ambientali (quasi 115mila quelle catalogate attualmente sul sito). Oggi, con circa 80mila iscritti, 3.000 gruppi di discussione e più di 300 aree tematiche, si presenta come il social network per eccellenza dedicato alla sostenibilità, che si propone – come si legge nelle linee guida del progetto – di “connettere le persone, condividere le conoscenze e costruire alleanze”.
Se Wiser, pur avendo sviluppato molte funzionalità social, ha ancora la forma del blog, appartiene invece al filone “alla Zuckerberg” il più giovane Ozoshare.com, fondato nel 2011 dagli americani Thomas Smith e Scott Peters e lanciato ufficialmente nell’estate 2012 con una “dotazione” iniziale di 3.000 membri. Presentato come “il Facebook dei temi ambientali”, il progetto di Smith e Peters si avvicina in realtà per filosofia più al modello Linkedin: ha ovviamente una bacheca, chiamata “The Buzz”, dove scorrono post, notizie e link commentabili, e una “Custom page” che ogni utente può personalizzare con biografia e foto, ma l’intento generale è quello di creare connessioni utili, sia da un punto di vista socio-ambientale che lavorativo. Qualche foto delle vacanze magari la vedrete (purché si tratti di vacanze ecosostenibili, certo…), ma quello che troverete sono soprattutto aggiornamenti su politiche ambientali, articoli, pubblicità di prodotti green, eventi. E naturalmente le persone, tante persone, divise per aree di interesse che vanno dai generici “conservazione della natura”, “risparmio energetico” e “riscaldamento globale” a temi più specifici come la bioedilizia, le auto elettriche, il design ecosostenibile, il giardinaggio fino a nicchie iper-settoriali quali il “green wedding” o la vermicoltura. La suddivisione in aree di interesse è in effetti la vera trovata di Smith e Peters. Provare per credere: basta iscriversi e inserire tre o quattro etichette al proprio account, per ricevere, dopo appena poche ore, decine di richieste di contatto.
Le categorie tematiche sono riprese anche da Howtobegreen.eu, social tutto italiano nato un anno fa, che si ispira nella struttura proprio a Ozoshare. La differenza fondamentale, almeno nelle intenzioni, è che gli utenti stessi sono chiamati a costruire i contenuti della piattaforma attraverso una sezione di “Reportage tematici”: veri e propri articoli divisi in 21 categorie, commentabili solo dagli iscritti al network ma visibili a chiunque, che fanno di Howtobegreen un interessante esperimento di giornalismo partecipativo a tema.
Ha intenti più commerciali invece la piattaforma Bioradar.net, che da due anni offre una vetrina gratuita ad aziende, enti e associazioni italiani che vendono prodotti e servizi biologici ed ecosostenibili, mettendoli in contatto diretto con potenziali clienti. La struttura è quella di un blog (e in questo segue il modello di Wiser), ma accanto ad alcune rubriche informative (news, ricette, arte e design green) c’è un vero e proprio “Market place” e un motore di ricerca attraverso il quale individuare i servizi più vicini alla propria città, in una rosa – per ora – di oltre 400 realtà imprenditoriali registrate, tra agriturismi, aziende agricole, ristoranti, artigiani, negozi, supermercati e gruppi d’acquisto.
L’ultima frontiera del social networking, infine, è la geolocalizzazione, che certo richiede sistemi decisamente più complessi da mettere a punto, ma che, in campo ambientale soprattutto, apre interessanti opportunità di intervento concreto, andando a intrecciarsi con l’universo in evoluzione delle Smart Cities. Si pensi ad esempio alla segnalazione di rifiuti tossici o pericolosi abbandonati, di cassonetti bruciati, aree verdi degradate, focolai di incendio nei parchi ecc. Così, ad esempio, per Decorourbano.org, fondato nel 2010 dalla società romana Maiora Labs, è il cittadino stesso a diventare responsabile della cura della propria città, segnalando attraverso una mappa dal suo computer o con un’app via smartphone tutte le criticità che incontra lungo la strada, che si tratti di schiuma sospetta in un corso d’acqua o di una cabina telefonica imbrattata. A questo punto, però, l’efficacia dell’indicazione dipende dal grado di coinvolgimento della città in cui si abita: attualmente sono poco più di un centinaio le amministrazioni comunali che hanno aderito al progetto, guadagnandosi così, come “comuni attivi”, la possibilità di interagire direttamente con i propri cittadini “segnalatori” e di intervenire in tempo reale sui problemi evidenziati. L’ideale – non così utopico, considerato che il servizio è messo a disposizione gratuitamente – sarebbe naturalmente una copertura completa di tutti i comuni italiani.
Ancora in ambito geo-social, ha invece ambizioni internazionali l’ultimo nato, Q-cumber.org, selezionato fra i 100 migliori progetti al mondo alle Olimpiadi delle Startup di Londra. Fondato nel 2012 dall’ingegnere bresciano Giuseppe Magro come progetto della società Algebra Srl, Q-cumber è il frutto di otto anni di studi e programmazione in collaborazione con uno dei più avanzati centri di ricerca sul monitoraggio ambientale, il Cambridge Environmental Research Consultants. «Il nostro sistema – spiega Magro – attraverso un modello Dynamic Computational G.I.S., consente di incrociare le informazioni “crowd”, cioè provenienti dagli utenti, con i dati ambientali elaborati da istituti scientifici accreditati e organismi internazionali come l’Organizzazione Mondiale per la Sanità». Le informazioni così ottenute vengono poi girate agli enti territoriali iscritti alla piattaforma, che a quel punto, come per Decorourbano, possono decidere come intervenire. Al momento si contano una cinquantina di comuni aderenti in Italia, ma la piattaforma sta per espandersi oltre i confini nazionali per essere sperimentata dalle amministrazioni comunali di Cambridge e Birmingham. «L’aspetto social è però solo una delle componenti di un progetto che – precisa il suo creatore – è ancora in piena evoluzione. Oltre a fornire direttamente segnalazioni (criticità di varia specie, cattivi odori, ma anche note positive, luoghi di pregio o da tutelare, notizie su un’area), gli utenti iscritti, infatti, potranno presto usufruire di dati di impatto ambientale come il livello di PM10, il benzene e il rischio idrogeologico: tutte informazioni utili, ad esempio, se si sta pensando di comprare casa in una certa zona…». L’unico neo di Q-cumber – a dire la verità un neo piuttosto influente, trattandosi di un social network – è la scarsa immediatezza dell’interfaccia. Se c’è una cosa che Zuckerberg ha capito fin troppo bene, è che l’attenzione media dell’internauta è labile come quella di un bimbo di tre anni: quando il gioco si fa complicato, l’internauta molla e difficilmente tornerà indietro, non importa se si tratta di gattini, foto delle vacanze o cose serie come il livello di smog nella propria città. La sfida sarà dunque quella di dare un aspetto semplice e accattivante a un sistema di dati incredibilmente complesso e stratificato, per renderlo fruibile al maggior numero di persone possibile. Raggiunto questo traguardo, Q-cumber avrà di certo tutte le carte per diventare il social network per eccellenza delle future Smart Cities.
Giorgia Marino