Conflitti ambientali. Biodiversità e democrazia della Terra
Al passo coi fatti recentemente accaduti in Val di Susa, per la costruzione della TA, si torna a parlare di conflitti ambientali. Se nella teoria molti hanno provato a dare una definizione di questi processi, “nella pratica, un conflitto ambientale si manifesta quando progetti di opere pubbliche o private (energetiche, infrastrutturali, produttive, di smaltimento) oppure politiche nazionali o sovranazionali con rilevanti impatti ambientali incontrano -o meglio si scontrano con- l’opposizione della società civile: residenti, associazioni, comitati ecc”.
Si è dunque di fronte a un “conflitto ambientale” – secondo quanto propone l’omonimo libro edito da Edizioni Ambiente in collaborazione con il Centro di documentazione sui conflitti ambientali – quando cittadini, studenti e sindaci protestano contro un cantiere dell’alta velocità, o quando mamme disperate e negozianti inferociti scendono in strada per manifestare contro gli accumuli di spazzatura di una città come Napoli.
E lo fanno, questa la tesi, con pieno diritto, perché la natura è anche loro. Ce lo insegnano bene le popolazioni indigene, per cui “la relazione con l’ambiente è basata non sulla esclusiva necessità di utilizzare risorse al fine di trarne giovamento o profitto, ma soprattutto sulla dimensione spirituale e cosmogonica del rapporto che definisce l’equilibrio tra essere umano e sistema ecologico. Differenza sostanziale, che porta le popolazioni indigene a rivendicare e articolare metodi di gestione dell’ambiente in armonia con la natura, la pace, il senso di comunità e solidarietà”.
Sulla base di questo essere e sentire, della natura vissuta come strumento di appartenenza e identità, sono state proprio le popolazioni d’oltreoceano a portare avanti alcuni dei processi politici e sociali più forti di questi ultimi anni, ad affrontare le minacce esterne che stavano mettendo in pericolo le loro terre.
E quasi sempre è la mente dell’uomo che pensa e vuole queste disfatte. “Il programma di lavoro della Convenzione Onu per la biodiversità indica le seguenti cause dirette di perdita di biodiversità (causa immediata dei conflitti e disastri ambientali, NdA): invasione di specie estranee, cambiamenti climatici, inquinamento, stravolgimento degli habitat fino alla distruzione, ipersfruttamento. Insieme a queste cause dirette opera una serie di cause indirette che interagiscono e vanno dai fattori demografici a quelli economici, sociopolitici, culturali, religiosi, scientifici, tecnologici. Essi influenzano le attività umane in modi che poi impattano sulla biodiversità”.
Il testo “Conflitti ambientali. Biodiversità e democrazia della Terra” propone una carrellata dei più grandi scontri e conflitti nati da un imponente e spesso irrispettoso sfruttamento dei territori, in America Latina, Asia, Medio Oriente e Africa, dove soprattutto le multinazionali hanno occupato intere zone per puro profitto economico.
A queste violenze la popolazione risponde, “la comunità locale si fa globale, per confrontarsi con la governance mondiale e mettere in campo strumenti capaci di rispondere alla crisi del sistema che sta portando alla più grave emergenza ambientale a cui l’umanità abbia assistito”. Dal sud al nord del mondo, insomma la partecipazione è alta, le reti forti e i movimenti decisi.
“La lotta per la tutela della biodiversità, contestualizzata, ci appare quindi come un impegno molto più grande rispetto a quanti continuano a immaginarla come qualcosa di scollegato dai modelli di sviluppo e relazionali dominanti. Abbiamo invece verificato come sia esattamente il contrario. La perdita di biodiversità certifica il conflitto in atto tra uomo e natura, tra il modello capitalista e la democrazia della Terra”. “Più rafforzeremo il campo del buen vivir – concludono gli autori – e più grandi saranno dunque le possibilità di uscire dalle crisi e di salvaguardare la più grande ricchezza e il più importante dono che l’uomo abbia ricevuto tra le sue mani: la biodiversità”.
Alfonsa Sabatino