Cinema in un ambiente diverso: “Chasing Ice”
La giuria della sezione “Cinema in un ambiente diverso” - composta da Andrea Gandiglio, direttore editoriale di Greenews.info, Michele Munerol di Air Dolomiti, dall’architetto Gianmaria Sforza e dalla regista Elena Maggioni – ha assegnato ieri sera, al Milano Film Festival il premio, sponsorizzato da Air Dolomiti e Aeroporto di Monaco, al film di Musa Syeed, “Valley of Saints“. Di grande interesse anche gli altri lungometraggi in concorso, di cui pubblichiamo le recensioni a cura di Michele Munerol.
Un collage di reportages giornalistici sui disastri provocati dalle calamità naturali apre il pluripremiato (e fuori concorso) “Chasing Ice”. Protagonista è James Balog, fotografo di professione che, affascinato dal ghiaccio e dalle sue mille forme in natura, decide di dedicargli un documentario che ha, in realtà, il valore della grande impresa. Lo scopo della missione potrebbe sembrare puramente estetico, fotografico appunto, ma la pulsione “scientifica” è quella di raccogliere dati analitici sul cambiamento dell’ecosistema, in particolare sullo scioglimento dei ghiacci perenni in cima al mondo. E di denunciare come tale cambiamento influenzi i mostruosi scompensi climatici degli ultimi anni.
Balog e la sua troupe, sfidando le intemperie metereologiche e le insidie naturali, per installare una ventina di macchine fotografiche tra Montana, Alaska, Islanda e Groenlandia. Incorrono in problemi tecnici e fisici, che minano la loro stessa salute. Ma riescono a produrre migliaia di frames fotografici che, montati a dovere, sfruttando sapientemente il processo di film editing, creano vere e proprie mini-pellicole, più eloquenti di qualsiasi discorso accademico sui cambiamenti climatici. Il risultato stilistico è decisamente meta-filmico, ossia di film nel film: una serie di cortometraggi che hanno una propria identità all’interno dello spazio cinematografico dell’opera che li contiene e che ne sfrutta senso, significato e implicazioni.
Il risultato a livello di contenuto è invece riassunto in una delle frasi del suo ideatore: “Story is in the ice”. Il ghiaccio può essere analizzato e può dirci quanto è inquinata l’aria che respiriamo. Il ghiaccio modifica l’ambiente. E Balog, con la sua minuziosa ricerca, crea un dualismo tra la memoria del paesaggio e la memoria della macchina fotografica. Il primo viene completamente stravolto. Sulla seconda viene invece impressa l’ultima traccia, incontrovertibile, di quei luoghi che, a causa del progressivo scioglimento delle nevi perenni, mai più si potranno vedere e visitare.
Il ghiaccio, dicevamo, è il protagonista e, prima di tutto, è bellezza pura. Ha infinite e straordinarie forme. Affascina lo spettatore con il suo colore azzurro: bellissimo, nel film, il canale nell’Ice Sheet, vero e proprio fiume che scorre in mezzo alle lastre innevate. Non meno suggestive le immagini notturne con la verdissima aurora boreale e con il ghiaccio che si erge dal basso “just in the middle of the Galaxy”. E poi ci sono i 75 minuti di “horrible miracle”, trasformati dal fotografo in un altro splendido cortometraggio, in cui tonnellate di ghiaccio si sciolgono nel mare e fanno sentire l’uomo piccolo e impotente, di fronte allo sprigionarsi di tanta energia.
Michele Munerol