Cinema in un ambiente diverso: “Bestiaire”
La giuria della sezione “Cinema in un ambiente diverso” - composta da Andrea Gandiglio, direttore editoriale di Greenews.info, Michele Munerol di Air Dolomiti, dall’architetto Gianmaria Sforza e dalla regista Elena Maggioni – ha assegnato ieri sera, al Milano Film Festival il premio, sponsorizzato da Air Dolomiti e Aeroporto di Monaco, al film di Musa Syeed, “Valley of Saints“. Di grande interesse anche gli altri lungometraggi in concorso, di cui pubblichiamo le recensioni a cura di Michele Munerol.
Una delle regole del cinema classico è che nella prima sequenza venga condensato un po’ tutto il senso dell’intero film: primissimi piani, spesso distorti, di occhi umani che osservano con attenzione animali imbalsamati per carpire segni da imprimere sulla tela da disegno. E’ questa l’anticipazione, non solo del titolo del lungometraggio francese di Denis Côté, ma anche dell’ambiguità della figura umana e dell’impotenza del mondo animale, che sono i temi portanti di “Bestiaire”.
Nessun dialogo, primi piani, inquadrature iperboliche, dettagli accuratissimi, attenzione a ciò che sta sullo sfondo, uso della sineddoche. Questi gli elementi stilistici usati dal regista. Risultato: un microcosmo artificioso dove la “bestia” viene ingabbiata ad uso e consumo dell’uomo (ci vengono mostrate grate, gabbie, reticolati, barriere, per tutta la durata della pellicola) e illusa di poter trovare conforto e compagnia in qualche oggetto umano: come per la scimmia il suo orsacchiotto, o lo specchio per il povero airone senz’ala (la malvagità umana in questo caso pare proprio non avere limiti).
I protagonisti sono loro, gli animali, ma sono solo dei soggetti impotenti, come quelli imbalsamati della prima scena. La presenza dell’uomo è costante, fastidiosa come i rumori di manutenzione di tutti le strutture metalliche; e viene sprigionata l’indifferenza nei confronti della condizione di quelle bestie che, abituate a spazi aperti, non fanno altro che sbattere contro i recinti che le incatenano in una condizione di cattività permanente. La “dark side of the human being” non è, tuttavia, solo questa: l’uomo è anche imbalsamatore (usa l’animale come “bella statuina”), o si traveste da animale per meri scopi di intrattenimento. E poi c’è lo zoo: per qualche momento è l’uomo nella gabbia di vetro. Ma la gabbia è solamente il canale usato per potersi avvicinare il più possibile alle fiere impotenti. L’ennesima, ironica, illusione.
Michele Munerol