“Verso un’allerta mondiale”: gli OGM in Europa, tra scienza e allarmismo
Confesso: il primo impulso appena usciti dalla proiezione del documentario “OGM? Verso un’allerta mondiale” di Clément Fonquernie, presentato in anteprima a CinemAmbiente, è stato quello di correre verso la dispensa e buttare via qualsiasi cibo anche solo sospettato di contenere alimenti transgenici. Credo che le immagini di topi da laboratorio con tumori grossi come palle da tennis, associati al suono (ormai venefico, per la maggior parte degli europei) di quelle tre lettere e al termine “allerta”, produrrebbero la stessa reazione sulla maggior parte delle persone prive, come me, di basi scientifiche sull’argomento. Ma, talvolta, l’allarmismo richiede di essere controbilanciato da un’adeguata documentazione e un po’ di senso critico.
Ecco la storia. Il film del regista francese – presentato nella sezione “Eventi speciali” della rassegna e inserito anche nelle iniziative di Eating City – racconta dell’inedito esperimento condotto dal biologo molecolare Gilles-Éric Séralini e commissionato dal Criigen, il Comitato di Ricerca e di Informazione Indipendente sulla Genetica, nato in Francia alla fine degli anni ’90. «Un esperimento – dichiara Corinne Lepage, presidente del Criigen – che tutti i governi si erano rifiutati di condurre». Lo studio mirava a dimostrare che i controlli di routine richiesti dall’Unione Europea per l’immissione sul mercato di alimenti geneticamente modificati non sono sufficienti a verificarne l’eventuale tossicità, perché condotti per intervalli di tempo troppo brevi (90 giorni è lo standard) e su un numero di cavie troppo ridotto.
Lo studio di Séralini, che si è concentrato su una particolare varietà di mais OGM prodotto dalla Monsanto (l’NK603) e tollerante al più diffuso tra gli erbicidi (il Roundup), è stato invece condotto in un arco di tempo – 2 anni – che corrisponde alla vita media di un topo e su circa 200 soggetti. Le cavie sono state divise in tre gruppi, nutriti rispettivamente con mais OGM, mais OGM trattato con Roundup e mais “tradizionale” con Roundup. Rispetto al gruppo di controllo, che mangiava mais normale senza erbicida, in tutti e tre i gruppi si è notata una maggiore incidenza statistica di tumori e gravi patologie di fegato e reni, manifestatisi a partire dal tredicesimo mese. Se i risultati erano in qualche modo attesi per l’erbicida, meno ovvio era che anche il mais OGM “pulito” avrebbe rivelato una possibile tossicità.
Fin qui i fatti. I risultati della ricerca di Seralini sono stati pubblicati nell’autunno 2012 in anteprima esclusiva su alcune, selezionate, testate francesi, tra cui “Le Nouvelle Observateur” e “Le Monde”, previa la sottoscrizione di una (discutibile) clausola in cui si chiedeva di non far leggere l’articolo ad altri scienziati prima della pubblicazione. Richiesta quanto meno ambigua, visto che è prassi del giornalismo scientifico far controllare ad altri esperti i contenuti di un articolo prima della sua divulgazione. Ad ogni modo, non appena è stata disponibile alla comunità scientifica, la ricerca ha immediatamente suscitato accese polemiche, di cui si trova tuttora traccia in rete: la maggior parte degli studiosi del settore ha criticato sia la progettazione dell’esperimento, che i tipi di cavie scelti (topi che sviluppano facilmente tumori), il trattamento e l’analisi dei dati, il metodo statistico utilizzato e persino le modalità di divulgazione (ad esempio non vengono mostrate le foto dei topi di controllo). Ma di questo dibattito, che sarebbe stato interessante approfondire, il documentario di Fonquernie purtroppo non parla.
Il regista si concentra invece sul meccanismo a monte, che ha portato il Criigen a voler finanziare una ricerca per quanto possibile indipendente sugli OGM. Dal laboratorio di Seralini, ci si sposta dunque a Bruxelles: il circolo vizioso incriminato è infatti il sistema delle lobby che influenzano le scelte del Parlamento Europeo, in questo caso in materia di biotecnologie e agroalimentare. A Bruxelles lavorano circa 50mila lobbisti alle dipendenze delle più importanti multinazionali dell’agroalimentare, con budget, non occorre dirlo, milionari: un vero esercito in confronto alle sparute e mal pagate truppe delle ONG, che cercano invano di far valere le proprie ragioni tra funzionari e commissioni parlamentari. In più – apprendiamo dalle varie interviste che compongono il film – ricerche e test di controllo ordinari sono quasi sempre commissionati, o almeno in parte finanziati, dalle stesse industrie del settore, che in alcuni casi producono sia gli alimenti transgenici che i pesticidi. Insomma, un gatto che si morde la coda.
Ma se il problema, come emerge chiaramente, è la mancanza di trasparenza e indipendenza, bisogna ammettere che nessuno ne è davvero immune. Si legge infatti, nel citato articolo del “Nouvelle Observateur”, che tra i finanziatori dell’esperimento di Seralini ci sono Auchan e Carrefour: due gruppi della grande distribuzione che del “no OGM” stanno facendo una strategia di marketing.
Il documentario di Fonquernie è destinato al “grande pubblico”, quello televisivo in particolare, che, come è ovvio, ha ben poche nozioni scientifiche di ingegneria genetica. Non è difficile immaginare quale reazione possa ottenere. Da questo punto di vista, il film, pur pregevole, è dunque un’occasione mancata. La ricerca di Seralini poteva essere un ottimo punto di partenza per sviluppare e documentare un confronto serio su organismi transgenici e biotecnologie, senza “distorsioni” dell’informazione. Se la difesa della controparte è invece affidata a un lobbista delle aziende di biotecnologie che dichiara la volontà di limitare i test di controllo “per salvaguardare più animali da laboratorio possibile”, l’effetto, evidentemente, non può che essere grottesco! Ci sarebbe però un’intera comunità scientifica da interrogare e mettere a confronto su vantaggi e svantaggi degli OGM. Fra tutte, la voce più nota è forse quella di Stewart Brand, uno dei padri del movimento ambientalista americano: «Mi piacerebbe vedere che cosa sarebbe in grado di fare, con l’ingegneria genetica, un gruppo di appassionati studiosi di scienze ambientali», scrive nel celebre saggio “Una cura per la Terra”, augurandosi che i nuovi ambientalisti, invece di limitarsi a porre veti, prendano in mano la ricerca sulle biotecnologie con intenti propositivi, per scoprire come e se utilizzarla per la salvaguardia del pianeta. L’allerta mondiale del titolo è forse ancora un’ipotesi da verificare, più che una certezza incontrovertibile. Ma questo non fa che accrescere l’urgenza di un chiarimento scientifico quanto più ampio possibile a beneficio del consumatore.
Giorgia Marino