Marea nera: le telecamere (sottomarine) sull’operazione “top kill”
Sospendere le riprese delle telecamere che 24 ore su 24 riprendono la fuoriuscita di greggio al largo della Louisiana? E’stata quest’ipotesi, ventilata dai vertici di BP, a far discutere ancor prima che la decisione finale sull’operazione denominata “top kill” sia stata presa.
Dopo l’insuccesso dei precedenti tentativi BP dovrebbe infatti provare oggi a chiudere definitivamente la fuoriuscita di greggio dal pozzo nel Golfo del Messico versando una colata di fango e cemento a 1.500 metri di profondità. Prima un getto di fango ad alta pressione dovrebbe riempire la falla, poi un tappo in cemento la dovrebbe sigillare per sempre. Tutti i condizionali, per quest’operazione della durata prevista di due giorni, sono d’obbligo. Se il tentativo (fallito) della cupola era infatti stato definito dal presidente di BP America Lamar McKay, “un intervento a cuore aperto condotto a 1.500 metri di profondità“, questa volta le possibilità di successo, secondo l’amministratore delegato del gruppo petrolifero Tony Hayward, sono “intorno al 60-70%” – nuovamente con l’incognita di un’operazione mai tentata a quelle profondità.
Prima di agire si dovrà infatti attendere l’esito degli ultimi test, per verificare che il fango pompato “per prova” non aumenti ulteriormente la pressione danneggiando il pozzo. Tragica ipotesi che rischierebbe di aggravare la fuoriuscita. Forse per questa ragione BP preferirebbe evitare il rischio di diffondere, a livello planetario, le immagini dell’ennesimo tentativo fallito. Ma il presidente Obama ha espressamente richiesto che le telecamere rimangano accese, con l’avvertenza che, in una prima fase, a causa del pompaggio del fango, potrebbe esserci l’impressione di un aggravamento della fuoriuscita di greggio.
In caso di fallimento dell’operazione “top kill”, l’Amministrazione Obama potrebbe decidere di assumere il diretto controllo delle operazioni, per tentare di arginare il piu’ grave disastro ambientale nella storia degli Stati Uniti.
Nel frattempo arriva dall’Italia una soluzione alternativa a basso costo, avanzata dalla GTA - Gestione Tecnologia per l’Ambiente, società partecipata dall’azienda Arcobaleno di Catania e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma. Si tratta del Polysolver, un materiale che si lega indissolubilmente con gli idrocarburi trasformandosi in una specie di “pasta” che può essere poi utilizzata direttamente come carburante, oppure, strizzandola, permette di recuperare il greggio disperso. Un campione del polimero è stato richiesto dalla società americana che sta gestendo i tentativi di risanamento delle zone inquinante.