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Le lacune dell’Italia nella corsa all’eco-innovazione

luglio 11, 2011 Rassegna Stampa

L’Italia deve affrontare un numero consistente di limiti strutturali che, nel corso degli anni, hanno rallentato la crescita di una cultura dell’innovazione e condotto a una frammentazione delle azioni innovative, anche in relazione al settore dell’eco-innovazione.

In sostanza sono queste le conclusioni dell’Eco-Innovation Country Report 2010 (rilasciato a maggio 2011) dedicato all’Italia, il consueto report annuale dell’Eco-Innovation Observatory che delinea il profilo dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea e provvede a dare una serie di informazioni integrate utili tanto alle aziende del settore quanto ai decisori politici.

A quanto pare, però, l’Italia presenta delle considerevoli lacune. Come è risaputo, il nostro paese può contare su un numero limitatissimo di risorse energetiche derivanti da combustibili fossili, ma la sua produzione primaria di energia, tuttavia, si basa sull’uso di combustibili come petrolio e carbone e, solamente in misura minoritaria, sulla potenza idroelettrica nell’ambito delle energie rinnovabili. In percentuale, il 64,7% dell’energia prodotta in Italia deriva da combustibili fossili, quali gas naturale e combustibili solidi; il 21,2% deriva invece da fonti di energia rinnovabili; il 14,1% dell’energia utile al fabbisogno del Paese, invece, viene importata, soprattutto dalla Francia e dalla Svizzera, con una significativa condivisione di energia nucleare. Dato importante è che la percentuale di energia importata e cresciuta del 12% nel 2009 rispetto all’anno precedente.

Per quanto riguarda la situazione relativa alle energie rinnovabili e alla salvaguardia dell’ambiente, il riconoscimento del valore intrinseco delle risorse naturali ed ambientali ha avuto uno sviluppo abbastanza lento nel corso degli ultimi quarant’anni. Alcune organizzazioni sono state attive principalmente nell’ambito della protezione ambientale, soprattutto per quel che concerne specifiche minacce e pericoli per l’aria, l’acqua, i terreni. Alcuni di questi organismi hanno anche lanciato programmi per il riconoscimento dell’importante interazione tra sostenibilità, ecologia e innovazione. Ma il riconoscimento, anche pubblico, del potenziale intrinseco dell’eco-innovazione è legato essenzialmente all’ambito del global warming e del cambiamento climatico, e non a specifici casi di pericolo per le risorse naturali. E risiede proprio in questo particolare, secondo il Report in questione, l’elemento principale che ha ostacolato il settore dell’eco-innovazione.

Quali sono dunque, in concreto, le principali barriere per l’eco-innovazione in Italia? Il Report ne ha rilevate sostanzialmente tre: la consapevolezza e la disponibilità culturale all’eco-innovazione; le difficoltà con gli investimenti iniziali e l’implementazione dei progetti; l’esclusione di menti innovative, come quelle dei giovani cittadini, dai processi di innovazione economica ed ecologica.

In relazione al primo ostacolo, la mancanza di “disponibilità” culturale all’eco-innovazione deriva dal retaggio storico (unificazione relativamente recente) e geografico (caratteristiche geo-morfologiche) del nostro Paese per cui si ha una struttura governativa frammentata e, talvolta, una cattiva comunicazione tra il governo centrale e le realtà locali. Questa frammentazione ovviamente contrasta con i valori intrinseci dell’innovazione in generale e dell’eco-innovazione in particolare.

Per quanto riguarda la difficoltà ad investire in innovazione, il Report ricorda invece la tradizionale debolezza italiana nel tradurre gli input innovativi in risultati socio-economici, a causa dell’alta tassazione, degli elevati costi di start-up, delle lentezza della burocrazia, della complessità legislativa, e della rigidità del mercato del lavoro. Si tratta di un sistema inelastico, che nel tempo ha ostacolato anche grandi progetti, e non solo le Piccole e Medie Imprese (PMI). Inoltre, la frammentazione e le regionalizzazione dei mercati rende l’accesso per la distribuzione molto lento. Questi elementi negativi sono legati tra l’altro alle difficoltà di accesso agli investimenti tramite venture capital, soprattutto per le start-up nel campo dell’innovazione, dove gli introiti sono lenti ad arrivare.

La terza lacuna del sistema italiano nel settore dell’eco-innovazione è infine quella che ha come protagonisti le giovani generazioni. La mancanza di giovani, maggiormente aperti alle innovazioni, nei settori chiave del mondo dell’eco-innovazione, crea al nostro Paese un ostacolo considerevole nello sviluppo del settore. Il problema risiederebbe nel sistema scolastico, e nella società in generale, che, secondo il Report, per migliorare dovrebbe offrire un’educazione in grado di promuovere le capacità innovative individuali, sul modello della Silicon Valley.

In conclusione, seppure l’Italia risulti essere tra i quattro Paesi europei con la più alta spesa nel settore della protezione ambientale, l’ambito dell’eco-innovazione continua ad essere ostacolato da elementi strutturali del sistema governativo e sociale italiano. Miglioramenti potrebbero verificarsi con lo “svecchiamento” del sistema, investimenti pubblici ben mirati e l’internazionalizzazione del mercato interno.

Donatella Scatamacchia

 

 

 

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