Il diritto alla comunicazione ambientale
Dalla Convenzione di Aarhus sul diritto all’informazione per le tematiche ambientali al coinvolgimento collettivo. Greenews.info ripropone l’approfondimento pubblicato sul numero di dicembre del nostro partner Ecoideare.
Con la Convenzione di Aarhus, siglata nel 1998 dagli Stati membri della Comunità europea, vengono sanciti tre principi che segnano un’importante svolta nel processo di diffusione e sviluppo della comunicazione ambientale: a) assicurare il diritto di accesso del pubblico alle informazioni ambientali in possesso delle autorità pubbliche; b) diritto di partecipazione per il pubblico ai processi decisionali inerenti l’ambiente; c) diritto di accesso alla giustizia per le questioni ambientali.
Queste disposizioni prevedono anche un impegno delle parti affinché i funzionari e le autorità pubbliche possano fornire assistenza e orientamento ai cittadini nell’esercizio dei tre diritti; serve dunque promuovere la sensibilità e l’educazione ambientale dei cittadini; sostenere associazioni e organizzazioni che promuovono la protezione ambientale; garantire al pubblico l’accesso a tutte le informazioni.
Questa Convenzione nasce sulla base della convinzione che un maggior coinvolgimento dei cittadini verso le tematiche ambientali porti ad una maggiore e più sentita protezione dell’ambiente; che ogni cittadino abbia diritto di vivere in un ambiente volto ad assicurare la sua salute e il suo benessere, e che ogni cittadino per poter adempiere a tutto ciò abbia il dovere di tutelare e preservare l’ambiente in cui vive. Per fare questo però è necessario che i cittadini possano essere informati in modo preciso e trasparente sulle tematiche legate all’ambiente. Tematiche che, senza dubbio, oggi non sono considerate tra le priorità dei nostri organi di informazione.
La mancata informazione non permette al cittadino di avere gli strumenti necessari per elaborare una propria convinzione personale; questo porta inevitabilmente a un’esclusione dai processi decisionali. Non sono pochi gli esempi recenti di episodi accaduti nel nostro Paese in cui una mancata o scorretta informazione su tematiche ambientali o l¹esclusione dei cittadini interessati dalle decisioni politiche sia sfociata in un ostruzionismo generale con conseguenze davvero drammatiche. Pensiamo per esempio ai disordini, sfociati in veri e propri scontri civili, a cui abbiamo assistito a Napoli per l’emergenza rifiuti; o pensiamo alle accese polemiche che suscita la sola menzione del termovalorizzatore, piuttosto che le grandi mobilitazioni civili in opposizione alla realizzazione di grandi opere o di interventi per l’alta velocità.
Ci chiediamo come si sarebbero conclusi questi episodi se i cittadini fossero stati debitamente informati riguardo gli interventi da realizzare e se avessero avuto a disposizione tutti gli strumenti necessari per valutarne opportunità e controindicazioni. Un cittadino che non viene informato è un cittadino che ignora ciò che succede e che nella fase di decisione politica non ha alcun ruolo. L’autorità politica agisce in questo modo indisturbata, con interventi rivolti ai cittadini ma senza che questi ultimi vengano informati.
Il risultato è che nei paesi del Nord Europa ci si confronta con tecnologie innovative, politiche di sostenibilità ed amministrazioni locali virtuose, prese a modello in tutto il resto del mondo, mentre la popolazione in Italia non segue questa crescita: i processi avanzano, ma il tessuto culturale necessario per alimentare questa evoluzione non riesce a formarsi. La dimostrazione eclatante è presto data dalla difficoltà che incontrano le energie rinnovabili nel loro processo di diffusione: nonostante l’evoluzione che anche l’Italia, seppur a piccoli passi, sta vivendo in questo campo, non possiamo dire che si sia altrettanto diffusa l’accettabilità sociale delle energie rinnovabili.
Come è facilmente intuibile, la popolazione nei sondaggi si dichiara assolutamente favorevole alla diffusione e all’utilizzo delle energie rinnovabili; nel momento in cui si passa però all’individuazione dei siti destinati all’installazione degli impianti, si verificano manifestazioni di forte opposizione da parte della cittadinanza locale. Le energie rinnovabili infatti e alcune in modo particolare- vengono viste come un’innovazione positiva, necessaria per un evoluzione del Paese verso l’efficienza energetica; quando però si entra nella fase di monitoraggio e scelta del sito destinato all’installazione prende il sopravvento la sindrome NIMBY (Not In My BackYard), ossia l’atteggiamento di chi sostiene un intervento o un’iniziativa a patto che il proprio territorio non venga designato come il prescelto.
Secondo uno studio condotto dall¹Università di Padova, la risposta a questo va ricercata nel fatto che le politiche di diffusione delle energie rinnovabili hanno nel corso degli anni trascurato un aspetto fondamentale: l’informazione, il coinvolgimento e la consapevolezza dei cittadini, lasciati invece fuori dal processo di pianificazione. Negli ultimi 30 anni ci si è concentrati esclusivamente sullo sviluppo delle tecnologie, tralasciando l’informazione del pubblico. In sostanza, le tecnologie si sviluppavano, ma a queste non era accompagnata la consapevolezza della collettività verso ciò che si faceva. Le energie rinnovabili si diffondevano, ma la gente continuava a sprecare. Lo stile di vita, le abitudini, i valori, le priorità, le norme: tutto questo era stato ingenuamente trascurato. Questo procedimento ha fatto che sì che a fronte di un’emergenza non si sviluppasse tra i cittadini la consapevolezza di dover necessariamente condividere spese economiche e sacrifici, per poterne poi beneficiare tutti.
Questo è il prezzo da pagare, dopo anni di sterilità della comunicazione in ambito ambientale, con cui oggi facciamo i conti. Il risultato è ciò che vediamo. Forse conviene invertire rapidamente la rotta.