Un aiuto alla pastorizia: il progetto “Pecunia”
A proposito di scorie. Se quelle del nucleare sono incognite preoccupanti, non poco problematica è la gestione dei cosiddetti rifiuti speciali. Di che si tratta? Degli scarti – si legge sul sito dell’Arpa Emilia-Romagna – “generati dalle attività produttive (agricoltura, industria, commercio, artigianato) e di servizio”. Una massa enorme, tanto che i rifiuti speciali superano di gran lunga quelli urbani, e richiedono processi di smaltimento complessi.
Come trasformare gli scarti industriali, agricoli o dell’allevamento, in risorse? Proprio nel mondo dell’allevamento stanno nascendo alcune interessanti sperimentazioni, basate sul recupero e il riuso della lana ovina.
Silvia Salvatorelli ci ha anticipato alcune delle esperienze studiate dalla fondazione Villa Ghigi di Bologna, i cui protagonisti saranno ospiti di una tavola rotonda il 21 maggio presso la Cineteca comunale. “Per un progetto didattico sulla pastorizia, una scommessa sulla possibilità di tornare a valorizzare un antico mestiere, legato alla buona gestione del territorio in una realtà molto antropizzata come la nostra, abbiamo seguito un anno di lavoro di un giovane pastore che alleva pecore in Emilia”, racconta la Salvatorelli. “Sono molte le difficoltà burocratiche che incontra, per il passaggio del gregge e per lo smaltimento della lana, considerata uno scarto. La cosa ci ha incuriosito”.
In Emilia-Romagna, infatti, la produzione dei rifiuti speciali è stata di quasi 11 milioni di tonnellate nel 2008, circa quattro volte la quantità di rifiuti urbani. I rifiuti da fibre e prodotti tessili ammontano a più di 4mila tonnellate l’anno.
Ma Villa Ghigi studia il fenomeno anche in altre regioni, dove gli allevamenti sono più diffusi e maggiori i dati a disposizione. Così, a partire dai dati delle Asl sui controlli sanitari, la Fondazione ha scoperto un interessante progetto abruzzese.
Fra le prime regioni italiane per numero di capi ovini – l’Istat ne conta quasi 344mila nel 2008, dopo Sardegna, Sicilia, Lazio, Toscana e Basilicata – in Abruzzo il Parco del Gran Sasso e Monti della Laga sta sperimentando un progetto di raccolta della lana prodotta nel territorio. Anzichè pagarne lo smaltimento o ricevere un importo irrisorio da imprese di raccolta, gli allevatori dopo la tosatura consegnano la lana sucida (non trattata) al Parco, che paga il trasporto – poche migliaia di euro – al distretto del tessile di Biella.
Il progetto, non a caso, si chiama “Pecunia“, denaro: dal latino pecus, bestiame, perchè appunto i capi di un allevamento erano un tempo fonte di ricchezza. “Il costo della tosatura è oggi superiore al ricavo della lana“, spiega Luca Schillaci, dell’ente Parco. “Gli allevatori onesti si scoraggiano, mentre alcuni ricorrono a roghi o sotterramento pur di disfarsene. Con il nostro progetto abbiamo coinvolto l’anno scorso una ventina di allevatori, che si sono impegnati a fornire solo lana di qualità, da razze dal vello pregiato come la “gentile di Puglia”, la “sopravvissana” e la “merinizzata italiana”. Così abbiamo raccolto 20mila chili di lana selezionata e il prezzo spuntato è più che raddoppiato: dai 30 centesimi al chilo, siamo arrivati a 80 centesimi-1 euro”. Obiettivo del Parco è la salvaguardia di un ambiente di montagna che rischia lo spopolamento. “Gli allevatori presidiano il territorio – conclude Schillaci – e una montagna vissuta è una montagna salvata”.
Quest’anno il numero di allevatori coinvolti è raddoppiato, e questa modalità permette la tracciabilità di ogni lotto di lana: si può sapere da quale allevamento proviene, quando è stata tosata, la quantità e il tipo. Si potrà così avviare la lana di qualità alla filatura, quella di scarso pregio a impieghi nell’edilizia come isolante.
E proprio a Biella, meta della lana abruzzese di Pecunia, stanno sperimentando con successo un kit per navi destinato a raccogliere sversamenti in mare di olii e sostanze inquinanti. Protagonista, sempre la lana. “Stiamo preparando il nostro prototipo con un armatore napoletano – spiega Luciano Donatelli, titolare dell’invenzione e attualmente presidente dell’Unione Industriali Biellese – ma grazie alla recensione dell‘Economist siamo diventati famosi: abbiamo già ricevuto manifestazioni d’interesse da una società svedese e da fondi sovrani arabi, indiani e italiani“.
L’intuizione di Donatelli sulla lana, la cui proprietà idrofoba le permette di assorbire non acqua ma olii fino a dieci volte il suo peso, è stata sviluppata in un kit che prevede due “pinne” elettromeccaniche da montare su navi di diversa stazza. Con una modifica della prua, questi alettoni provvedono a raccogliere in mare la lana imbevuta di petriolo, che un nastro raccoglitore strizzerà a bordo recuperando il liquido come carburante. La lana impiegata può inoltre essere utilizzata più volte, prima di essere smaltita. Il costo per lo sviluppo di un kit varia da un milione di euro per petrioliere da 50 metri a mezzo milione di euro per navi minori, fino ai cosiddetti “spazzini del mare”, imbarcazioni deputate alla ripulitura dei porti. “Arriviamo a un recupero del 95 per cento” sottolinea Donatelli “usando la lana più grezza, quindi quella più ispida, meno pregiata, che oggi è solo un rifiuto”. Salvaguardia ambientale, recupero di risorse (oggi scarti) e sviluppo economico e occupazionale: non è forse questa ”la quadra” della green economy?
C. G.