Se coltivi bio risparmi energia
Pubblichiamo il contributo di Marina Magnani tratto dal “Giornale dell’Ateneo” dell’Università di Pisa dell’11 dicembre 2009.
Un bilancio energetico consente di mettere a confronto i sistemi di coltivazione biologica e quelli convenzionali. L’Università di Pisa è fra le poche in Italia, insieme a Firenze, ad essere impegnata in questo genere di ricerche, il cui esito ha evidenziato che le coltivazioni biologiche sono più efficienti nell’uso delle risorse energetiche del pianeta rispetto a quelle convenzionali.
Al Centro di Ricerca “Enrico Avanzi” dell’Università di Pisa la sperimentazione è in corso dal 2001: 12 ettari per il biologico e 12 per il sistema convenzionale, 24 in tutto coltivati a grano duro e tenero, mais, favino e girasole. “Quello che calcoliamo – spiega Marco Mazzoncini neodirettore del Centro – è un vero e proprio bilancio energetico con flussi in entrata e in uscita. Nel conto rientrano, ad esempio, il gasolio usato per le trattrici o l’energia che serve per produrre i diserbanti e gli insetticidi. Se consideriamo le sole energie non rinnovabili, per le coltivazioni tradizionali servono circa 21.000 megajoule per ettaro all’anno mentre nel caso del biologico ne occorrono solo 12.000, con un risparmio di circa il 50 per cento in termini di energia immessa nel sistema”.
Per quanto riguarda le coltivazioni convenzionali ad incidere nel conto energetico è soprattutto la chimica, ovvero concimi, antiparassitari e diserbanti. Numeri alla mano il consumo energetico medio del sistema convenzionale analizzato arriva a 14.103 megajoule annui per ettaro mentre per il biologico si attesta a soli 5.279, con un risparmio quindi superiore al 60%. Uno scarto minore si verifica nel caso di utilizzo di macchinari, che incide per 7.004 megajoule annui per ettaro nell’agricoltura convenzionale, rispetto ai 6.625 di quella biologica. Questo riguardo agli input. Nel caso del cosiddetto output (l’energia contenuta nella coltura), il biologico registra invece una lieve flessione. La produzione di energia, sia quella destinata al mercato sia i residui, è di 153.739 magajoule annui per ettaro nel caso dell’agricoltura convenzionale contro i 126.512 di quella biologica, con un calo di circa il 20 per cento a svantaggio del biologico.
Nell’ipotesi estrema di convertire al biologico tutte le coltivazioni mondiali si avrebbe dunque un’agricoltura meno dipendente dalla fonti di energia fossile ma, di contro, anche una produzione minore. “In effetti – continua Mazzoncini – il minor output nel caso del biologico è un dato che abbiamo riscontrato, sebbene in alcune annate le differenze siano state del tutto irrilevanti. Il punto è che comunque il biologico, pur avendo una produzione minore, utilizza l’energia immessa in modo più efficiente. Nel caso del biologico 1 megajoule di energia produce poco più di 1 kg di prodotto, come media di tutte le colture presenti nell’avvicendamento, mentre nel sistema convenzionale se ne ottengono in media 0.3 kg. L’indice di produttività energetica è quasi quattro volte superiore nel caso dell’agricoltura biologica”.
Pensare al biologico, al di là dei dati, presuppone una sorta di rivoluzione copernicana in agricoltura che rimetta al centro la natura, il rispetto dell’ambiente e del suo equilibrio. “Ci sono due estremi – ricorda Mazzoncini – da un lato l’agricoltura intensiva, dall’altro quella biologica. Pensare che l’adozione dell’uno o dell’altro possa portare alla soluzione dei problemi della fame nel mondo è un’illusione”. “L’agricoltura intensiva – conclude Mazzoncini – è spesso la strada più praticata, ma come indicano gli ultimi dati della FAO gli ‘affamati ‘nel mondo sono cresciuti del 9% nell’anno in corso, arrivando a 1,02 miliardi, il livello più alto dal 1970. La questione dunque è molto più complessa e forse quello di cui abbiamo bisogno è proprio un cambio radicale di paradigma che, a partire dall’agricoltura, coinvolga il sistema distributivo e l’intera filiera produttiva”.
Marina Magnani
Marina Caterina Magnani è giornalista pubblicista dal 2004. Si occupa prevalentemente di divulgazione scientifica e collabora da alcuni anni con il Giornale dell’Ateneo dell’Università di Pisa.