Nel Parco del Monte Fenera una sintesi tra la natura e il costruito di un ex stabilimento industriale
In tutta Europa, a partire dagli anni ’70, molte aree industriali sono state abbandonate, rese prive di qualunque altra funzione e cariche di scorie provenienti dalle lavorazioni che per anni vi si erano svolte. Nel giro di pochi anni, il rimpiazzare i vuoti era diventata l’esigenza prioritaria piuttosto che il cogliere le opportunità derivanti dal cambiamento.
Anche nel nostro Paese si è assistito ad un fenomeno analogo:la crisi dei sistemi industriali e la conseguente perdita di funzioni di determinate aree urbanizzate hanno reso disponibili diversi settori urbani, dando origine così al dibattito sul futuro e la destinazione delle aree dismesse, sulle loro potenzialità d’uso, sull’occasione che rappresentano in quanto zone strategiche per lo sviluppo di città industrializzate, le cui nuove espansioni creano a volte difficoltà nel trovare spazi dove crescere e svilupparsi.
Il caso relativo al progetto Fenera Loft Resort, che trasformerà la vecchia sede produttiva dell’azienda IVR ‒ proprietà della famiglia di imprenditori del settore delle valvole termoidrauliche Piero, Graziano e Flavio Giacomini ‒ in una struttura ad uso residenziale, è un caso di studio piuttosto interessante. La riqualificazione dell’edificio cerca infatti di dare valore aggiunto all’area dismessa, soprattutto in virtù della sua localizzazione all’interno del Parco Naturale del Monte Fenera, particolare formazione calcarea della bassa Valsesia in un contesto ambientale di particolare bellezza e pregio, nella frazione Ara di Grignasco.
La costruzione dello stabilimento risale a fine anni Trenta: inizialmente adibito a fabbrica di scarpe, successivamente acquistata dalla IVR, per circa 25 anni è stato luogo di produzione di valvole termoidrauliche, un settore portante del territorio. Il progetto di recupero di questo edificio industriale è stato affidato allo Studio di architettura UdA di Torino, i cui progetti pongonospecifica attenzione alla percezione sensoriale, ai materiali, alla luce e alle superfici: una sofisticatezza non fine a sé stessa, ma espressiva della complessità delle relazioni tra l’uomo e lo spazio che lo circonda. Greenews.info ha intervistato l’architettoValter Camagna.
D) Architetto, qual è stato il vostro atteggiamento progettuale di fronte a una grey area, considerando soprattutto che si trova all’interno di un Parco Naturale?
R) Premetto che la presenza, sul territorio italiano, di molti complessi industriali e produttivi che hanno cessato di avere la loro funzione originaria è al tempo stesso un problema e una opportunità. Ogni caso va visto nel suo contesto, ma per molti edifici, in particolare quelli che portano la memoria delle prime fasi dell’industrializzazione, può esserci una seconda vita. In questo caso l’anomalia data dalla presenza della vecchia sede produttiva di IVR era duplice: come edificio all’interno di un parco naturale e come elemento alieno ai caratteri tradizionali dei nuclei insediativi edificati nel territorio circostante sostanzialmente di tipo rurale. L’idea è stata di trattare l’ex complesso industriale come una testimonianza ormai storica della zona e di farne, con la sua nuova destinazione residenziale, un elemento di potenziale reintegrazione con il contesto ambientale, naturale e antropico. L’impatto minore presentato dalla residenza rispetto alle attività produttive, la possibilità di mettere in relazione i valori ambientali offerti dal Parco Naturale con un modello di abitazione innovativa, l’adozione di tecnologie volte ad assicurare un’alta efficienza energetica e non ultimo una“riapertura” dell’edificio rispetto ai luoghi circostanti hanno sicuramente costituito una opportunità per consentire un dialogo proficuo tra ambiti visti troppo spesso separati o inconciliabili: natura e costruito.
D) Il carattere di un edificio risulta fondamentale per valutarne il ruolo urbano: nel caso di insediamenti produttivi, per altro, è molto marcato. Quanto rimane forte l’integrazione formale e ambientale con il contesto rispetto alla percezione di una nuova forma?
R) A nostro parere i due ambiti, la preesistenza e quanto di nuovo vi si introduce, dovrebbero riuscire il più possibile a mantenere ad ognuno una sua identità e autonomia. La nuova forma non deve prevalere sull’edificio esistente, così come però deve trovare una specifica e ben visibile connotazione. In questo caso l’intervento sull’esistente ha cercato di liberare l’insieme delle costruzioni succedutesi nel tempo dalle superfetazioni e di rimettere in evidenza le stratificazioni, le giustapposizioni di tipologie e strutture differenti. La maglia tridimensionale onnipresente del corpo principale, fatto di pilastri e travi in cemento armato, è divenuta l’ossatura, “la gabbia” in cui far insinuare il nuovo intervento che talvolta trova un accento e si protende oltre il limite dell’attuale involucro edilizio con le logge e i corpi aggettanti in facciata.
D) Nella storia dell’architettura, da quella antica a quella contemporanea, la residenza appare tema minore, soggetto a limiti che possono spiegare esiti modesti. Come vi siete posti di fronte alla domanda se abitare o meno le fabbriche?
R) Mi viene da pensare a figure come Carlo Scarpa o Umberto Riva, che hanno espresso, per così dire, una intrinseca “monumentalità” dell’interno domestico. E’ vero tuttavia – ed è una contraddizione tutta contemporanea – che il tema dell’abitare, del progetto della residenza e più specificamente del progetto d’interni dedicato a questo ambito, pare non avere molta attenzione da parte della critica architettonica e dei media. E’ secondo noi invece una disattenzione grave, che trascura il fatto di quanto la casa sia uno degli elementi fondamentali del progetto e delle finalità ultime dell’architettura – che è offrire luoghi di benessere psicofisico all’uomo. Inoltre è sempre più evidente come molti altri ambiti, dai luoghi di lavoro agli hotel, tendano a ricreare le condizioni di confort e le valenze simboliche dei luoghi domestici. Così abitare le fabbriche diviene una stimolante opportunità per definire nuovi parametri dei modi di vivere un ambiente domestico e per mettere in contaminazione funzioni diverse in uno spazio fisico non rigidamente organizzato e conformato esclusivamente attorno alle esigenze e ai modi consueti dell’abitare…
D) Quali sono le novità green del recupero e come si conciliano con l’identità dell’edificio?
R) Spesso gli edifici industriali hanno caratteristiche formali e tipologiche (ampie superfici vetrate, grandi volumi, struttura preponderante rispetto ai tamponamenti murari) che più difficilmente si conciliano con le attuali esigenze performative degli edifici residenziali e in generale di quanto è usuale per edifici di costruzione odierna. Tuttavia l’adeguamento delle nuove prestazioni non deve e non può cancellare la natura originaria del fabbricato anche perché spesso è portatore di due qualità altrettanto importanti rispetto ai parametri fisico-tecnici di comfort considerati dalla normativa: lo spazio, inteso come dimensioni generose e ampie, e la luce offerta dalle ampie superfici vetrate. Oggi la novità tecnologica più importante è la capacità di creare protesi non invasive per qualsiasi corpo. In questo caso riteniamo che la novità green più interessante del progetto risieda proprio nella possibilità di implementare le prestazioni originarie del fabbricato senza alterare l’aspetto e la conformazione originaria dei volumi e dei prospetti. I serramenti in ferro sono stati mantenuti come grate e telai della facciata originaria, mentre un nuovo involucro vetrato e cieco è stato realizzato internamente arretrando rispetto alle facciate lasciandole così inalterate nel loro aspetto originario. Gliisolamenti e le coibentazioni sono applicate sulle facce interne, dando luogo ad una sorta di “cappotto interno”, e il tutto – opportunamente dimensionato- consente di raggiungere valori di fabbisogno energetico impensabili per un edificio con quelle caratteristiche. A questa soluzione si aggiungono poi le dotazioni ormai quasi standard per nuovi edifici quali: impianti di aria primaria, collettori solari per la produzione di acqua calda sanitaria, predisposizione per l’impianto fotovoltaico in copertura. Ogni intervento però, più che per le sue valenze intrinseche, è pensato e funzionale a infondere nuova linfa ad un organismo vetusto, a cui spetta una nuova vita.
Valentina Burgassi