“Mandala”, l’arte selvaggia di Gilles Clément al Parco d’Arte Vivente
Si definisce paesaggista, ma soprattutto giardiniere. Gilles Clément (Parigi, 1943), docente all’École Nationale du Paysage di Versailles, è l’architetto del verde di scrigni naturali come i giardini de La Défense a Parigi, il parco sulla Senna André Citroën (nei terreni che appartenevano all’omonima fabbrica automobilistica) e quello Matisse a Lille.
E’ ospite in questi giorni a Torino per presentare la sua nuova composizione selvaggia: un impianto vegetale fatto di sedum e graminacee, realizzato appositamente per il PAV (Parco di Arte Vivente) di via Giordano Bruno 31. Si chiama Mandala. E’ ispirato nella forma al diagramma circolare buddhista e induista, costituito dall’incastro di più figure geometriche (il punto, il triangolo, il cerchio e il quadrato). Un disegno che, per le religioni orientali, riveste un significato spirituale.
Ma per Clement il Mandala è solo un “supporto alla meditazione”: è l’occasione naturalistica per riflettere sul mondo e sul suo corso. Per provare a cambiarlo, a partire dalla “conoscenza delle piante”, facendo una “didattica della natura”.
L’opera, visibitabile al PAV, è stata progettata in inverno e piantata ora, in primavera. Questa creazione di 500mq, che fa da tetto pensile al centro d’arte, prenderà pieno corpo in tutto il suo anarchico rigoglio tra due anni. Ricoprirà in modo permanente la sommità della collina che già contiene “Bioma”, il percorso interattivo tra tecnologia e vegetazione di Piero Gilardi.
E’ il primo esempio italiano di “Paesaggio Planetario”. Una missione che l’architetto francese sta portando avanti per migliorarare l’adattamento dell’uomo all’ambiente, lavorando sul concetto di “diversità”. Quella stessa che convive negli spazi verdi abbandonati, dove l’uomo non mette mano, come i cigli delle strade, le aiuole incolte, i campi verdi di periferia ecc. Fazzoletti di natura, insignificanti polmoni di ossigeno per noi, che sono in verità una giungla spontanea capace di far convivere fauna e flora molto differenti. Clément li chiama “Terzi paesaggi”.
D) La diversità biologica è una delle questioni nodali della nostra epoca. Pensiamo al fenomeno del razzismo. Come è le è nata l’idea del Terzo Paesaggio?
R) Riflettendo su un mondo che rifiuta di accogliere il “diverso”. Mentre il pianeta va sempre più in una direzione di “mescolanza”. Ibridazione tra genti, come è per le piante. E allora, perché avere paura di questo? Perché scacciarlo? Mi sono chiesto: è possibile sfruttare la diversità senza distruggerla? I miei giardini planetari, così come il Terzo Paesaggio, fanno questo. Sono luoghi di resistenza. Politica, diciamolo pure. In cui le mescolanze, “verdi” e non umane, nel caso dei miei giardini, sono naturali e seguono un proprio ritmo. Le energie esistenti in natura collaborano tra loro senza bisogno del controllo dell’uomo. Il giardino cresce selvaggio ed è un tutto, ma se ci entri dentro scopri biovarietà impensate.
D) Ad ogni giardino un giardiniere. Qui però sembra non ce ne sia bisogno. Fuor di metafora, gli spazi verdi selvaggi possono esistere accanto all’uomo o piuttosto, dove c’è lui, la natura deve comunque e sempre piegarsi?
R) No, assolutamente. Il mio obiettivo è proprio quello di convincere i sindaci di tutti i comuni del mondo a realizzare un “Tier Paysage” nella loro municipalità. L’uomo ha bisogno degli spazi ove la natura è selvaggia. E’ un concetto naturalistico, ma anche architettonico. Un conto sono i terreni abbandonati, ambiente ideale per gli squat degli uomini, ma anche delle piante. Quelli capisco che sia un po’ difficile reintegrarli in città. Un conto è invece il giardino che ho progettato a Lille, l’Henri Matisse: su un’alta struttura di cemento cresce una selva in cui l’uomo non può entrare, con animali, uccelli e insetti che edificano il loro ecosistema, attorniati da un centro urbano.
D) Ammesso che sindaci e amministratori si convincano, il che pare quasi un’utopia, dove dovrebbero essere collocati i “Terzi paesaggi” nelle nostre città?
R) Negli ambienti più ricchi di biodiversità. Le rive di un fiume, i parchi. L’importante è che l’uomo non vi acceda. Non deve sovrapporre la sua mano alla mano già sufficientemente autoconservatrice e creatrice della natura. In una città c’è spazio per tutto, terreni verdi disciplinati e sofisticati, controllati da giardinieri e agronomi, e altri dove non c’è niente se non natura: la coccinella che mangia le cimici e i pidocchi, gli insetti pollinizzatori che fertilizzano le piante e aiutano a ripopolare di flora.
D) Parliamo del Mandala. Che caratteristiche ha questo esclusivo giardino torinese, prima sua opera in Italia?
R) E’ una sfida. Gli architetti qui sono un po’ preoccupati infatti. Voglio far crescere le 5 graminacee (Stipa Gigantea, Stipa Tenuissima, Euphorbia Myrsinites, Euphorbia Characias e Sedum in varietà) e i fiori (Crocosmia Babylon, Crocosmia Solfatare, Cotula Hispida e Allium Sphaerocephalon) senza acqua, nella pozzolana granilla, materiale naturale di origine vulcanico che garantisce una buona impermeabilità.
D) Quanto prevede che resisterà questo giardino?
R) Per sempre. O meglio, i giardini si sa quando cominciano non quando finiscono e dove vanno. Sono convinto che anche alle condizioni peggiori, dove non c’è possibilità d’irrigazione, si possono trovare piante capaci di vivere. La natura non ha bisogno che di se stessa. Vive in maniera frugale.
Letizia Tortello