LOHAS come to China
Il biologico italiano sta allargando i suoi confini – sia geografici che settoriali. Questo il messaggio chiave emerso dalla conferenza stampa organizzata da Federbio, sabato 11 settembre al Sana di Bologna, per promuovere le attività in corso di svolgimento all’Expo Universale di Shanghai.
Nonostante la crisi il mercato del biologico sembra infatti crescere ed estendersi al di là dei tradizionali settori dell’alimentare e della cosmesi, coinvolgendo anche l’edilizia, il verde pubblico e altri contesti un tempo di nicchia, come confermano i risultati dell’Osservatorio sui consumi Sana-GPF, presentato in apertura della fiera.
Uno dei mercati di sbocco più interessanti – per numeri e sensibilità del consumatore - è indubbiamente la Cina, dove i Lifestyles of Health and Sustainability (LOHAS), contrariamente a quanto si potrebbe pensare, negli ultimi anni sono penetrati a fondo tra gli individui a maggiore reddito e livello di istruzione.
Dalla relazione di Ellen Zhang, Industry Research Manager del gruppo Ringier e caporedattore della rivista Restaurateur, emergono dati estremamente interessanti. Innanzitutto le potenzialità di crescita, nel paese, di questo mercato giovanissimo (certificato in Cina solo dal 2005) ma molto dinamico: nel 2006 le vendite di prodotti alimentari confezionati “organic” sono salite del 77% e le organizzazioni nazionali per la certificazione stimano che, nei prossimi anni, la produzione aumenti dal 30 al 50%.
Gli Stati Uniti sono, ad oggi, i principali fornitori di biologico della Cina, con una quota del 26,6 % dell’import, contro l’attuale 0,29 % dell’Italia (31° posto), che conserva dunque margini di crescita potenzialmente enormi, grazie alla fama e all’ottima accoglienza dell’alimentare italiano all’estero, ma anche perchè, ricorda Chiara Musco di Prober, l’Associazione dei Produttori Biologici e Biodinamici dell’Emilia Romagna, l’Italia è il quinto paese al mondo per superficie coltivata a biologico e il primo produttore in Europa, con una crescita di aziende agricole bio, dal 1990 al 2008, del 1.185%!
I bio-imprenditori nostrani interessati a sfondare in Cina tengano a mente alcune semplici indicazioni: le vendite via internet (es. Helekang), diversamente che in Italia, sono molto diffuse, nel gigante asiatico, anche per questo settore e il mercato dei regali aziendali – una vera e propria istituzione, nonché status symbol – può generare dei volumi impensabili in Europa. Attenzione però, ammonisce Zhang, al packaging: in Cina un buon prodotto in una brutta confezione non sfonderà mai.
C’è poi un altro problema da non sottovalutare, sebbene non sia di natura logistica nè doganale, ma linguistica: ”il termine biologico in lingua cinese ha ricevuto una traduzione piuttosto infelice“, ci spiega Sergio Marchesini, ricercatore italiano impegnato in Cina, dal 2007, nel progetto europeo “DegustoBio” di Bioagricoop e Agea. “Il termine youji (有机) descrive infatti il concetto di bio (Youji shipin 有机食品 = alimento bio), ma letteralmente significa: ha tecnologia. Gli stessi 2 ideogrammi che si utilizzano per descrivere il biologico infatti, in altri contesti, possono essere utilizzati per definire concetti antitetici a quelli di bio (youji huafei有机化肥 = fertilizzanti chimici), generando così confusione nei consumatori”.
Bel problema (di marketing oltre che linguistico), al quale solo il governo cinese potrà porre rimedio, con una diffusa campagna di informazione. Ma siamo sicuri che – al di là delle evocazioni genericamente positive dei termini “bio” e “eco” nell’immaginario collettivo – anche in Italia il consumatore sappia esattamente cosa significano biologico e biodinamico?
Andrea Gandiglio