“LEED for Historical Buildings”: anche il restauro diventa green
Ville venete, antichi palazzi nelle città, borghi medioevali sugli Appennini, trulli nel Tavoliere delle Puglie. Un patrimonio architettonico, storico e artistico che il mondo ci invidia e che potrà, presto, essere conservato con maggiore sostenibilità ambientale. È stato infatti presentato, giovedì scorso a Venezia, alla presenza dei rappresentanti di organizzazioni internazionali come l’Unesco e il World Green Building Council, il progetto di stesura del protocollo “LEED® forHistorical building”, primo esempio di sistema di certificazione per la ristrutturazione e il monitoraggio di edifici storici a livello mondiale.
L’anteprima di quello che si potrebbe già chiamare “restauro green” è stata organizzata dal Green Building Council Italia (GBC Italia), associazione no profit nata da una costola dell’omonima organizzazione americana con l’obiettivo di favorire e accelerare la diffusione dell’edilizia sostenibile nel nostro Paese. Il Bel Paese, con le sue eccellenze storico-architettoniche universalmente conosciute e l’ampio bagaglio di esperienza nel restauro, farà quindi da incubatore e promotore del sistema di certificazione indipendente Leed® (Leadership in Energy and Environmental Design) per laprima volta applicabile alla conservazione, restauro e rifunzionalizzazione di edifici storici e con particolare valenza storica e architettonica. Una novità perché il sistema Leed, che stabilisce precisi criteri di progettazione e realizzazione di edifici salubri, energeticamente efficienti e a impatto ambientale contenuto, finora è stato introdotto solo nel sistema residenziale.
Al lavoro ci sono già un Comitato standard e uno tecnico scientifico per un totale di 300 volontari che operano per elaborare le linee guida del protocollo – che verranno presentate a inizio del prossimo inverno a San Francisco – e per garantire trasparenza nei processi di analisi e stesura. Dei due gruppi di lavoro fanno parte esperti, tra cui il Dipartimento di Architettura di Ferrara, soggetti istituzionali, progettisti, imprese e proprietari immobiliari. Le linee di indirizzo di partenza fanno dialogare insieme due differenti culture, quella della conservazione e valorizzazione del patrimonioedilizio storico-architettonico tipicamente italiana, e quella della sostenibilità edilizia tipica del mondo anglosassone. Un insieme di strumenti tecnici e procedurali che possono contribuire allo sviluppo di regolamenti tecnici, codici di buona pratica e pratiche progettuali condivise in cui l’Italia giocherà un ruolo da protagonista nel contesto internazionale.
Non avendo un riferimento in alcuno dei sistemi di rating sviluppati attualmente, GBC Italia sta analizzando “casi studio” sperimentali, interventi in progetto o in fase di cantiere su cui verificare la corrispondenza con il protocollo in via di elaborazione. Progettisti o enti che si apprestano a restaurare edifici storici possono dunque aderire a questa fase, collaborando attraverso i propri progetti e facendoli analizzare.
«Edifici e città storiche italiane sono già in un certo senso “Leed” , basti pensare al sistema di canalette per la raccolta di acqua piovana sotto l’Arena di Verona, costruita 2000 anni fa, o le cisterne perl’acqua dolce sotto i palazzi veneziani – commenta Mario Zoccatelli, presidente GBC Italia – Il problema è che ci siamo dimenticati di come si costruiva. Con l’avvio di questo progetto di identificazione di un protocollo specifico per gli edifici storici faremo un’operazione che mette insieme il sistema di certificazione Leed, l’esperienza italiana nel restauro e conservazione dei beni culturali, la cultura Unesco, che predica il rispetto della tradizione storica e delle comunità locali. È una questione sia culturale, sia tecnica, sia di business perché la crescita, di cui si parla tanto, in questo settore può avere un grande sbocco».
Uno sbocco quasi obbligato, si potrebbe aggiungere, visto che la crescita del fabbisogno energetico, la scarsità di risorse tradizionali, la necessità di ridurre le emissioni di gas serra e, non ultimo, il consumo di territorio – basti pensare all’eccessiva cementificazione avvenuta nel nostro paese, con moltissimi edifici residenziali invenduti (specialmente in questo periodo) – impongono di ripensare al tema della riqualificazione del patrimonio edilizio esistente.
A spiegare il contesto in cui si inserisce il nuovo protocollo “for Historic Buildings” in Italia è la giovane Paola Boarin, del Dipartimento di Architettura di Ferrara e coordinatrice del Comitato Standard. «Circa un terzo degli edifici esistenti nella nostra penisola – racconta - è costruito prima del 1945 e, a differenza di quanto edificato dopo, che fu di scarsa qualità, garantivano un benessere bioclimatico per chi vi abitava». Il comfort era dato da sistemi di mediazione bioclimatica, muri spessi, giardini interni nei cortili, controsoffitti in legno decorati che avevano una funzione di isolamento termico, sistemi di raccolta dell’acqua meteorica. I materiali erano reperiti in loco e si integravano con l’ambiente circostante, basti pensare alle case in pietra dei paesini collinari o al legno in quelle di montagna. Tutti elementi assolutamente sostenibili già insiti in molti edifici antichi da valorizzare, tenendo conto – cosa fondamentale – del contesto in cui il fabbricato è inserito.
«Il protocollo – continua l’architetto – valuterà se i progetti di restauro su edifici storici andranno nella direzione di mantenere queste caratteristiche di sostenibilità, anche perché, in caso contrario, l’edificio stesso non risponderà più correttamente alle sollecitazioni ambientali. Il fine del restauro secondo questo criterio non è arrivare a una casa passiva o in classe energetica A, ma a una sostenibilità storica, culturale, energetica nell’ambito di un intervento di conservazione». Un criterio di restauro che non esclude tecniche innovative o antisismiche. La sede del Dipartimento di Architettura di Ferrara, un palazzo cinquecentesco restaurato nel 2009 e consolidato sismicamente, ad esempio ha retto al terremoto che ha colpito il mese scorso l’Emilia Romagna. E ora i ricercatori sono impegnati, insieme alla Soprintendenza di Ferrara, nel dibattito su come ricostruire gli edifici storici crollati, come il Duomo di Mirandola, uno dei simboli della nostra storia decapitati dal sisma.
Alessandra Sgarbossa