Le montagne, chiave per una green economy globale
Chi lo ha detto che le montagne sono aree depresse? La Fao non la pensa proprio così, anzi. Nel lanciare nei giorni scorsi il tema della prossima Giornata Internazionale della Montagna, che si terrà l’11 dicembre prossimo, il messaggio dell’organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura è stato inequivocabile: “Mountains – Key to a Global Green Economy“, le montagne sono la chiave della green economy a livello mondiale. Ma non solo. Le zone montane sono, in linea con quanto indicato dal summit di Rio+20, “essenziali per lo sviluppo sostenibile mondiale”, dato che i loro modelli economici, i servizi erogati e in linea generale lo stile di vita che in esse si pratica puntano, molto più che in altre regioni, sulla tutela ambientale, favorendo la “crescita verde”.
“Crediamo che questo tema possa accrescere la consapevolezza delle ragioni per cui le montagne rappresentano un punto cruciale dello sviluppo sostenibile globale – ha spiegato la Fao – e come si dovrebbero dare nuove opportunità alle comunità che vivono in quota, invece di contribuire al degrado degli ecosistemi montani”.
Non nasconde l’entusiasmo per quanto dichiarato dalla Fao chi da decenni studia e fa conoscere le potenzialità della montagna, come Anna Giorgi, direttrice del Centro interdipartimentale per la Gestione sostenibile e la difesa della montagna dell’Università di Milano, con sede a Edolo, nel bresciano. “La presa di posizione della Fao rappresenta una progressiva consapevolezza dell’importante ruolo delle aree montane per l’intera collettività. Il fatto che ciò parta dall’alto rende più lento il processo, quando sarà la stessa gente che abita in montagna a convincersene allora sì che il cambiamento sarà reale. A ogni modo per noi non è altro che una gradita conferma di quanto maturato con l’esperienza dell’Università della Montagna. Se le montagne vengono lette non solo nei loro limiti ma nelle loro ricchezze e potenzialità, si capisce che sono una valvola di sfogo lavorativa per chi vi abita tanto quanto i contesti urbani”.
Il centro di Edolo a maggio inizierà proprio un corso di perfezionamento sulle fonti energetiche rinnovabili in contesti montani. Quanto vale la green economy per la montagna? “La vocazione alla green economy è evidente ed è nel dna della montagna stessa, anche se sono proprio i suoi abitanti a non rendersene conto e più spesso i loro amministratori. Penso all’Alto Adige e ad altre regioni alpine autonome che hanno goduto di supporti strategici ben spesi e lungimiranti. Lì la montagna è a tutti gli effetti risorsa. Altrove i finanziamenti sono stati a pioggia, seguendo una politica assistenzialista e talvolta opportunistica, atteggiamenti per forza di cose perdenti. L’importante è usare modelli adatti alla montagna”. L’esempio della Val di Funes, sopra Bolzano, completamente autonoma dal punto di vista energetico, è emblematico. Le sue due piccole centrali di teleriscaldamento vengono alimentate con i trucioli di legno dall’edilizia, col legname portato dai contadini che tengono puliti i loro boschi, in una sinergia a 360 gradi tra economia e ambiente. Le tre piccole centrali idroelettriche producono corrente in modo decentralizzato, ciò riduce i costi di distribuzione e dà maggiori garanzie di fornitura, accantonando progetti maggiori gravosi e pericolosi. La rete è interrata, in un unico scavo sono state posizionate fognature, rete elettrica, fibra ottica che arriva fino alle malghe ad alta quota, garantendo alla vallata, oltre che energia a costi decisamente inferiori che nel resto d’Italia, calore, adsl e anche la sua immagine da cartolina. Pensare che nel 1952 il sindaco tentò di convincere i valligiani a costruire una mega centrale idroelettrica con diga “modello Vajont” e allagare la valle. Fu cacciato con lanci d’uova.
In quest’ottica, le aree montane non raffigurano soltanto un paesaggio più o meno bucolico per qualche vacanza lontana dalla frenesia e dall’inquinamento delle città, ma sono – o meglio dovrebbero essere – veri e propri modelli di sviluppo da imitare e ricchezza socio-ambientale da salvaguardare. Rappresentano infatti un quarto della superficie terrestre, sono un patrimonio di biodiversità, ospitano il 12% della popolazione mondiale, forniscono il 50% dell’acqua disponibile nel pianeta per vivere, coltivare, produrre energia elettrica usata da famiglie e imprese. Come dire, la cassaforte del nostro pianeta. Eppure spesso questa cassaforte ce la dimentichiamo aperta. Lo spopolamento, i cambiamenti climatici che qui si fanno sentire molto più che altrove con lo scioglimento dei ghiacciai, la deforestazione che ha acuito il rischio idrogeologico mettono a repentaglio la loro sopravvivenza, e di conseguenza la nostra. “L’insegnamento cardine che viene dalla montagna è che le risorse naturali se sapientemente “sfruttate” nella loro salvaguardia sono capaci di generare un utile, che può essere economico, sociale, ambientale”, prosegue Anna Giorgi. “Laddove l’uomo e la natura si interfacciano con maggiore equilibrio si comprende la loro reciproca necessità. Non possiamo devastare l’ambiente e pensare che ciò sia senza effetti”.
Un’immagine a chiaro-scuri che si replica pressoché in ogni regione che racchiude un tratto di Alpi. In Veneto convivono il Comune di Enego, nel Vicentino, bandiera nera di Legambiente nel 2012, che ha approvato un progetto per “la valorizzazione turistica, ambientale e naturalistica della piana di Marcesina” con parcheggi sparsi per più di 840 posti auto, con un consumo di territorio pari a cinque campi da calcio, e l’Associazione per la promozione e la tutela della pecora Brogna autoctona della Lessinia, premiata con la bandiera verde per avere evitato l’estinzione di una delle due razze ovine ancora esistente favorendo sostenibilità territoriale, promozione turistica e agricoltura locale. In Trentino c’è il Comune di Malosco, bandiera verde grazie al regolamento comunale che limita l’utilizzo di prodotti fitosanitari e disciplina delle coltivazioni agricole, mentre in Lombardia i Comuni bresciani della Val Trompia continuando a utilizzare il fiume della valle, il Mella, e i suoi affluenti come collettori fognari a cielo aperto. Pubbliche amministrazioni e cittadini a confronto in Piemonte: se la Regione per Legambiente si è contraddistinta in negativo per l’assenza di politiche di tutela e valorizzazione della montagna, il Comitato Treno Vivo Valpellice ha compensato proponendo attività e modelli di mobilità sostenibile da esportare in ambiente alpino.
Lo Stivale è, insomma, pieno di occasioni perse o prese. “L’Italia è l’unico paese europeo a possedere l’intero arco alpino, compreso il versante sud fondamentale per lo studio dei cambiamenti climatici – conclude Anna Giorgi -. Se avessimo sfruttato questa peculiarità per la ricerca su questo fronte costituiremmo un primato in Europa, ma non siamo capaci di realizzare progetti a largo respiro”. E sì che le Alpi le studiamo già dalle elementari.
Alessandra Sgarbossa