La Fao si batte per un’agricoltura “intelligente”
Si fanno sempre più numerosi i temi da dibattere al tavolo di Copenhagen il 7-18 dicembre. La Fao ha infatti presentato, in occasione del meeting di Barcellona,un rapporto sull’agricoltura “intelligente”.
Il crollo del prezzo del cibo del 2008 insieme a preoccupanti indizi di riscaldamento globale (sintomatici di ben più gravi implicazioni sul lungo periodo) hanno portato la food-security e il cambiamento climatico in cima all’agenda internazionale, con la raccomandazione, da parte della Fao, di considerare questi due aspetti congiuntamente dal momento che, essendo entrambi interconnessi con l’attività agricola, l’uno è causa e conseguenza dell’altro.
L’articolo 2 della United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) sancisce come obiettivo primario “la stabilizzazione della concentrazione di gas serra presente nell’atmosfera ad un livello che prevenga pericolose interferenze sul clima derivanti dall’attività umana. Quest’ obiettivo dovrebbe essere raggiunto in un periodo di tempo sufficiente per permettere all’ecosistema di adattarsi naturalmente al cambiamento climatico allo scopo di instaurare uno sviluppo economico sostenibile ed evitare pericolose conseguenze per la produzione alimentare”.
E’evidente come queste finalità non possano essere soddisfatte se non tramite l’adozione, immediata e incisiva, di politiche condivise a livello internazionale. L’agricoltura è il settore primario nella maggior parte delle nazioni meno sviluppate (LDCs) e costituisce mezzo di sostentamento per il 75% dei poveri nei Paesi in via di sviluppo. D’altro canto, però, la produzione di gas serra derivanti dalla produzione agricola rappresenta il 14% del totale globale, percentuale di cui i Paesi in via di sviluppo sono responsabili per il 74%. Se si considera anche il contributo in negativo dato dalla deforestazione e dalle emissioni secondarie la percentuale è addirittura più elevata.
Le misure avanzate dalla Fao abbracciano vari ambiti di intervento, presentando delle ricadute, dal punto di vista della sicurezza alimentare, che richiedono un’attenta riflessione. L’esempio più significativo è dato dalla produzione di biocarburanti che, se da un lato possono rappresentare un’alternativa pulita alle fonti fossili, dall’altra sottraggono terra ed acqua necessarie alle colture con fini alimentari.
Le opere di risanamento rischiano inoltre di danneggiare, nel preve periodo, le rendite rendendo fondamentale un sistema di “pesi e contrappesi” che incentivino l’adozione di un’agricoltura intelligente. La soluzione può venire da meccanismi di finanziamento pubblici o privati o dall’istituzione di un fondo internazionale, sistemi che potrebbero evitare un tracrollo, almeno temporaneo, del settore agricolo, soprattutto nei paesi in cui una tale crisi non sarebbe economicamente sostenibile.
Le aspettative su Copenhagen sono a questo punto destinate ad aumentare anche su questo fronte.
Ilaria Burgassi