Il bio rende di più. Lo dimostra il modello Biosus dell’INEA
Si è chiusa ieri, con numeri a segno più per tutto il settore del biologico, l’edizione numero 25 del Sana. In Italia continuano a crescere i consumi di prodotti bio, con un aumento di quasi il 9% del primo quadrimestre 2013, e sale anche il numero delle aziende bio: più 3 per cento nel 2012, arrivando a 49.079 operatori, con una superficie agricola coltivata pari a oltre un 1 milione di ettari. Una scelta sempre più diffusa, perché in grado di coniugare la sostenibilità ambientale con quella economica, in tempi di margini sempre più ridotti per gli agricoltori. Il progetto Biosus, realizzato dalle Università di Bologna e di Ferrara e dall’Inea e finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, dimostra che il biologico è l’opzione aziendale più remunerativa e contribuisce ad abbattere le emissioni dei gas serra.
Biosus ha visto la realizzazione di un modello aziendale dinamico per simulare il processo produttivo agricolo delle aziende per diverse combinazioni di colture e allevamenti in regime convenzionale e biologico e stimare, attraverso bilanci aziendali, gli impatti economici, sociali e ambientali. Metà delle aziende italiane (il biologico è maggiormente concentrato al centro, mentre al sud l’agricoltura resta convenzionale) ne trarrebbero più guadagno, anche con l’attuale situazione di sussidi. L’85% delle aziende non subirebbe variazioni dal mutamento dello scenario politico, mentre il 15% ne sarebbe sensibile. Infine, si è dimostrato come la presenza di seminativi sia più redditizia nel biologico, mentre quella di arboricoltura in convenzionale, superfici naturali e zootecnia non sembrano prediligere lo stesso orientamento.
Il progetto Biosus risponde a un’esigenza programmatica legata all’approvazione della nuova PAC14 (la Politica Agricola Comune europea) e alla volontà di ridurre le emissioni di gas serra da parte dell’Unione Europea: il rapporto della FAO 2009 sulla sostenibilità dei sistemi agricoli moderni riporta infatti che l’agricoltura contribuisce al riscaldamento globale per una percentuale compresa tra il 10% e il 12% del totale complessivo. È diventato quindi di estrema importanza per i governi dei Paesi occidentali comprendere in che misura forme innovative di agricoltura come quella biologica siano in grado di limitare le emissioni inquinanti e garantire un bilancio positivo della quantità di carbonio fissata in modo stabile nel suolo.
“La potenzialità di questo strumento – spiega Sergio Albertazzi, ricercatore dell’Università di Bologna – può portare a valutazioni di diversi indicatori per le aziende agricole che sono poco sensibili alle tematiche ambientali: il loro obiettivo è fare profitto. Abbiamo analizzato 5.700 aziende agricole con pesi Istat – circa due terzi della aziende italiane sul territorio nazionale – dopodiché abbiamo cercato una struttura economica migliore per l’azienda”, prosegue Albertazzi.
Biosus presenta vari punti con i quali si può interagire per rendere l’analisi più consona al tipo di risultato ottenuto. “I criteri sono stati divisi in aree – ambiente ed economia – e poi, in sotto criteri. Quindi, per l’ambiente abbiamo considerato il cambiamento climatico e l’impatto ambientale con i quali abbiamo analizzato la vulnerabilità, l’emissione e lo stoccaggio di gas serra, la qualità del suolo e dell’aria che dipendono dall’erodibilità e dalla quantità di pesticidi utilizzati. Per l’area economica abbiamo diviso i criteri di efficienza economica, sforzo pubblico richiesto e dipendenza dal mercato”, spiega ancora il ricercatore.
Ora la palla passa ai governi: “Si tratta di uno strumento accademico – conclude Albertazzi – che può aiutare i governi a prendere delle decisioni, una volta valutate le risposte delle aziende”. Le conclusioni dimostrano come il PAC14 sia lo scenario migliore per tutti gli indicatori di eguale peso. Questo porterebbe a una distribuzione aziendale più propensa al biologico e al greening nella aree del centro nord, in cui le strutture aziendali presentano seminativi, e una propensione al regime convenzionale nelle aziende del sud con presenza di arbicoltura.
Marta Rossi