“I custodi dell’acqua”: in un documentario due donne raccontano le battaglie per un bene comune
Dietro alla gestione dell’acqua privatizzata, ai tratti di fiumi prosciugati dalle centrali idroelettriche, alle dighe che hanno ucciso gli ecosistemi, ci sono anche Ira e Maria. Le grandi questioni ambientali spesso ci appaiono come scatoloni pieni di denunce inanimate e immagini impressionanti. Quando chiamiamo in causa il fattore umano, è per denunciare i responsabili degli scempi. Ma spesso ci dimentichiamo di chi si trova a convivere con gli scempi al paesaggio in cui vivono. A ricordarcelo ci sono, appunto, le voci di Ira e Maria, protagoniste del documentario “I custodi dell’acqua”. Giulio Squarci, documentarista di 32 originario della Carnia, è partito dall’esperienza di queste due donne per raccontare di un equilibrio che si è rotto nella gestione dei sistemi idrici, degli acquedotti, dei torrenti. Prima di tutto nella sua terra, che poi però diventa paradigma anche dell’altrove, dove cambiano i nomi, i luoghi e le date, ma la sostanza rimane spesso immutata.
Il documentario racconta il rapporto atavico con l’acqua e il nuovo impegno collettivo riemerso già negli anni Novanta e poi più di recente in concomitanza con il referendum per proteggere le risorse idriche da incursioni speculative e interessi di parte. Il lungometraggio, che sarà presentato il prossimo 22 marzo durante la Giornata mondiale dell’acqua, è in fase di ultimazione: fino all’8 agosto è aperta su Indiegogo.com una campagna di raccolta fondi a sostegno della fase di postproduzione.
D) Giulio, come è nato il progetto?
R) Il progetto è nato quattro anni fa nel vedere persone che avevano costruito l’acquedotto con le loro mani, che avevano portato l’acqua a casa sulle loro spalle con il tipico buinc, e che si trovavano poi a dover pagare bollette altissime quando la gestione è passata dai Comuni alla Spa. Questo però è stato in realtà l’ultima goccia di un processo che anche in Carnia va avanti da decenni. Questa è la regione del Vajont, qui il problema dell’acqua è da sempre molto sentito: qua non c’è mai stata molta militanza ambientale, ma quando si è trattato di difendere questa risorsa, le persone si sono mobilitate, è nata una miriade di comitati. Per queste comunità, è stato un momento di unione. In Carnia il primo comitato è nato negli anni ’90 per la difesa del Tagliamento: nel 1957, con l’entrata in funzione della centrale idroelettrica di Somplago, che ogni giorno immette nel lago notevoli quantità di acqua fredda, la fauna è quasi scomparsa dal lago di Cavazzo. Inoltre, parlando di acqua si parla anche di democrazia: all’inizio ho cercato di evitare il tema spinoso e abusato, ma mi sono dovuto arrendree, perché la gestione dell’acqua, che è un monopolio naturale è strettamente legata all’amministrazione partecipata della cosa pubblica.
D) Quali sono al momento attuale le situazioni più critiche nell’ambito della gestione delle risorse idriche?
R) In questo momento si sta discutendo per esempio dello svuotamento della diga di Verzegnis, dopo che l’anno scorso i fanghi della diga di Sauris sono stati tutti sversati lungo un torrente, uccidendo l’ecosistema. C’è poi il progetto di un elettrodotto che dovrebbe attraversare la valle di But, mentre molti fiumi, a partire dal Tagliamento, in certi tratti sono prosciugati dalle troppe derivazioni idroelettriche.
D) Come hai scelto le due protagoniste?
R) In questi anni ho seguito da vicino i movimenti per l’acqua e ho conosciuto molte persone impegnate per la difesa delle risorse idriche. Ho scelto due donne perché penso che l’acqua sia un tema molto femminile. Maria è una anziana signora che abita in un paesino della Carnia e produce ancora da sola quello che mangia: l’ho scelta perché, nella sua semplicità e autenticità, è una filosofa del vivere in montagna. È una persona estremamente poetica e ha una sensibilità molto alta, dotata di una visione del mondo completa. Ira è invece un’attivista, di quelle che vanno casa per casa per informare sui problemi e mobilitare le persone. Nel documentario ci sono anche altri personaggi più marginali. Ho escluso volutamente i politici: il tema riguarda tutti così da vicino che ho deciso di non avere bandiere di nessun tipo.
D) Prima dicevi che l’acqua è un tema femminile: l’acqua dà la vita, e in questo senso è madre. C’è anche altro?
R) Sì, assolutamente. In tutte le assemblee che sono state fatte per spiegare alle persone cosa stava succedendo, così come quando c’era da scendere in piazza, ad organizzare le mobilitazioni erano quasi sempre le donne. Inoltre, in montagna la società è ancora matriarcale: sono le donne che, gestendo il budget e facendo la spesa, hanno il polso della situazione, anche per quando riguarda le bollette. E poi in passato il luogo di socializzazione delle donne era la fontana. Anche oggi le donne si sono riunite intorno all’acqua, ma hanno trovato simbolicamente la fontana chiusa.
D) Che aria si respira oggi in Carnia tra i movimenti per l’acqua?
R) C’è un po’ di delusione, perché la società di gestione delle risorse idriche rimarrà, ma vedo anche molti piccoli semi di speranza tra i giovani. Questo documentario è anche per raccontare alle persone il gran lavoro che si è fatt in Carnia e che ha portato alla vittoria dei sì al referendum. Quella è stata una vittoria per tutta l’Italia: non tutti i 27 milioni di persone che hanno votato contro la privatizzazione della gestione si sono continuati a interessare di acqua, ma molti sì. E non è finita: la sfida del futuro mette in gioco la nostra capacità di bloccare un certo sistema di gestione dell’acqua e più in generale del territorio. Come dicono gli anziani qui, se la montagna si spopola cade tutto: oggi vivere in montagna è difficilissimo, ma se ce ne andiamo noi arriveranno gli speculatori, persone che non hanno a cuore questi luoghi, ma solo i propri interessi.
Veronica Ulivieri