Healing garden e ortoterapia: il medico cura, la natura guarisce
Che la storia dell’umanità abbia inizio in un giardino non è certo un caso. Se poi quell’Eden originario corrisponde anche, nell’immaginario collettivo, a un archetipo di perfetto benessere psico-fisico, allora come non appropriarsi dell’esempio biblico quando si parla di healing gardens?
La professoressa Elena Accati, responsabile del master in Progettazione del paesaggio dell’Università di Torino, ama infatti cominciare così le sue lezioni su una pratica come quella dei giardini curativi che, nonostante abbia ricevuto un nome solo di recente, affonda le radici in un bisogno innato dell’uomo: la ricerca, cioè, di un rinnovato e terapeutico rapporto con la natura. “Vivere e invecchiare in città che sono diventate luoghi di solitudine spirituale porta a sviluppare una serie di disagi psico-fisici, stress, ansie e addirittura crisi di panico. – ha spiegato, durante l’intervento al forum “Nutrirsi di paesaggio” nell’ambito del Salone del Libro di Torino – Un giardino, per quanto piccolo, può allora costituire un momento di pausa nel conteso urbano e un rimedio a tali malanni. Del resto sin dall’antico Egitto (e abbiamo un papiro a provarlo) i medici hanno sempre consigliato ai propri pazienti di passeggiare fra le piante di un giardino”.
Ma se i generici benefici del verde sono istintivamente riconosciuti un po’ da tutti, meno noto è lo specifico potere curativo di orti e giardini nell’ambito di molte patologie, sia fisiche che psichiche: dalle più comuni, come ansia, ipertensione, problemi motori o post-operatori, fino alla depressione o a sindromi gravi come l’ Alzheimer e l’autismo.
Non tutte le aiuole però fanno al caso: perché gli effetti siano tangibili, gli spazi verdi devono essere realizzati secondo precisi criteri. “Progettare un healing garden all’interno di una struttura sanitaria o un giardino terapeutico in altri contesti (parchi pubblici, scuole, strutture lavorative, carceri) significa tenere conto di una serie di caratteristiche che non riguardano solo l’estetica. – precisa Monica Botta, architetto fra i pochissimi in Italia ad occuparsi di questo ramo della paesaggistica – Si va dall’accessibilità, percorribilità e sicurezza degli spazi alla qualità della vegetazione, dalla ricerca di particolari stimoli sensoriali alla giusta alternanza di zone d’ombra e di luce, fino alla creazione di spazi meditativi. Si deve poi tenere conto dei target diversi a cui ci si rivolge: ci sono percorsi sensoriali per non vedenti, aree di fisioterapia o ginnastica dolce per gli anziani, giardini terapeutici per disabili. Con la Asl di Perugia, ad esempio, sto lavorando in questo periodo a un progetto rivolto a bambini autistici. Negli Stati Uniti, che in questo campo sono trent’anni avanti rispetto a noi, esistono addirittura giardini terapeutici per ex militari tornati da zone di guerra“.
Progetti così complessi nascono naturalmente dalla confluenza di discipline diverse, come architettura, botanica, medicina, fisioterapia, psicologia, pedagogia, e raccolgono influenze lontane nello spazio e nel tempo, dai giardini zen giapponesi ai chiostri medievali fino ai contemporanei orti urbani. Anche l’orticoltura, in veste di ortoterapia, può infatti trovare un suo peculiare spazio nella progettazione di un giardino terapeutico. «Il primo ad attestare gli effetti benefici di giardinaggio e coltivazione su pazienti psichiatrici – ha ricordato Elena Accati – fu Benjamin Rush, il padre della psichiatria americana, alla fine del XVIII secolo». Non è un caso che gli Stati Uniti e in generale il mondo anglosassone vantino una lunga tradizione di horticultural therapy e numerose società scientifiche e associazioni, come l’American Horticultural Therapy Association o la britannica Thrive, che si occupano della diffusione di questa pratica e dello studio di specifici percorsi formativi. “Cosa ancora lontana per l’Italia – fa notare Botta – dove la figura dell’ortoterapista non è riconosciuta, benché questa metodologia sia spesso utilizzata efficacemente da psichiatri, psicologi e fisioterapisti”.
Se è vero che ogni sforzo creativo e di apprendimento di attività pratiche può avere valore terapeutico, l’ortoterapia aggiunge però alla soddisfazione del “fai-da-te”, il contatto diretto con la natura e la possibilità, in molte situazioni preziosissima, di socializzare. Ne è un bell’esempio il parco realizzato dall’architetto Botta per la casa di riposo di Bellinzago Novarese, che in un percorso storico-sensoriale unisce i profumi e i colori delle piante aromatiche, la tradizione locale rappresentata da antichi attrezzi agricoli con i nomi in dialetto e uno spazio per l’orto aperto anche ad attività didattiche per i bambini o terapeutiche per gruppi di disabili provenienti da altri centri. “Lo scopo – spiega Botta – era di creare delle sinergie tra i fruitori del parco. Quando alcune classi hanno cominciato a utilizzare l’orto per l’educazione ambientale, ad esempio, gli anziani ospiti della residenza si sono incuriosisti e, autonomamente, hanno iniziato a frequentare il giardino, facendo amicizia con i bambini e dando consigli sulle attività”. L’orto, insomma, li ha attirati fuori dalla loro solitudine.
Affondare le mani nella terra, zappare, seminare, raccogliere, potare, riconoscere fiori e frutti, anche solo nutrirsi di odori e colori: fa riflettere che attività semplici, un tempo ascritte alla sfera quotidiana del lavoro, oggi facciano tanta fatica a tornare nella vita di tutti i giorni, magari ricomparendo solo in casi estremi, come avanguardie terapeutiche sponsorizzate da pochi esperti illuminati. Eppure, dovremmo ricordarcelo, lo diceva già Aristotele: “Il medico cura, la natura guarisce”.
Di questi temi si parlerà oggi e domani al 4° Workshop Nazionale IMAGE (Incontri sul Management della Green Economy), dedicato quest’anno al tema “Medicina ambientale e salute: verso la smart health”
#workshopimage2014
Giorgia Marino