Greenlies: il lato oscuro dell’economia verde diventa documentario
Green economy, ovvero un modello di business pensato per conciliare la sostenibilità ambientale con lo sviluppo economico e sociale. Una formula che in questi ultimi anni è sembrata davvero, in più occasioni (anche se mai decisive, finora) in grado di sostituire le vecchie logiche produttive. Ma quanto il nostro paese è capace di realizzare progetti di green economy, che siano “puliti” sotto tutti i punti di vista?
È la domanda che si è posto il collettivo SMKVideofactory, giovane gruppo di produzione video che ha deciso di orientare la propria attività indipendente verso l’inchiesta a tematica ambientale. Dopo aver firmato Tomorrow’s Land – un documentario sull’attività del comitato di resistenza popolare nel villaggio palestinese di At-Tuwani – Andrea Mariani, 29 anni, insieme alla coregista Angelica Gentilini, 26, si sta occupando della realizzazione di Greenlies, un reportage che vuole raccontare gli aspetti meno chiari e più contraddittori di alcuni casi italiani di green economy. La produzione è per altro realizzata tramite il crowdfunding, una modalità di finanziamento che da un lato garantisce un’informazione libera da condizionamenti e, dall’altro, in virtù della propria viralità comunicativa, diventa strumento di diffusione di cultura ambientale. Greenews.info ha intervistato i due registi.
D) Come è nata l’idea del progetto?
R) Tutto è nato da un contatto di Angelica Gentilini con alcuni comitati dell’Appennino bolognese che si stavano interessando della realizzazione di un impianto eolico in loco. L’idea iniziale era girare un documentario su questa storia. Dopo un set di tre giorni, a fronte del materiale raccolto, ci siamo resi conti che si poteva condurre un’inchiesta molto più ampia. Da qui abbiamo sviluppato un concept più articolato, che al momento prevede la realizzazione di quattro video, quattro puntate pilota di una serie dedicata ai progetti di energia verde. Il nostro intento non è mettere in discussione il fatto che le nuove produzioni energetiche siano preferibili a quelle tradizionali, ciò che ci interessa è riflettere sulle caratteristiche di queste produzioni e sulle contraddizioni che presentano.
D) Come sono stati scelti i quattro temi?
R) Come primo step abbiamo individuato quali potevano essere gli altri settori che caratterizzano l’energia verde. Successivamente abbiamo avviato una collaborazione con un centro di documentazione di Roma che ci ha aiutato a individuare le aree geografiche specifiche ed emblematiche per trattare una serie di contraddizioni: l’impianto eolico di Camugnano e le centrali geotermiche del Monte Amiata sono i protagonisti dei primi due video, nel corso del 2013 ci dedicheremo alla realizzazione anche dei documentari sui temi solare e biomassa.
D) Quali difficoltà avete incontrato durante la realizzazione?
È ancora presto per dirlo, al momento stiamo raccogliendo le interviste con le comunità locali. Desideriamo raccogliere testimonianze che possano fornire un quadro completo dei pro e contro, per aiutare a formulare un giudizio consapevole. Quando avremo un panorama di testimonianze che giudicheremo sufficientemente eterogeneo, entreremo in contatto con le aziende chiamate in causa. E crediamo che questa sarà la parte più difficile.
D) Quale sarà il passo successivo? Come e dove distribuirete i video?
R) Greenlies per noi è un esperimento. Prima di tutto perché rispetto al passato ci stiamo spostando più verso l’inchiesta e meno verso il documentario. Poi perché vogliamo tentare di realizzare un prodotto che si possa veicolare sia come pillole facilmente fruibili anche tramite internet, sia come lungometraggio, ovviamente riadattando il materiale nei tempi e nei modi del documentario, in modo da veicolarlo nei circuiti tipici del settore, come per esempio nei festival e nelle tournée ad hoc. La sfida per noi sta anche nel capire come soddisfare queste diverse esigenze di fruizione.
D) Quali aspettative avete da questo progetto?
R) Abbiamo avuto la fortuna di ricevere un’ottima accoglienza per Tomorrow’s land: per quanto fosse una produzione dal basso ha avuto un bel riscontro, ha fatto circa 150 tappe in Europa, ha partecipato a festival prestigiosi come il David di Donatello e Al Jazeera Film Festival. Questo successo ci ha permesso di avere un network di followers che già seguono la nostra attività. In più abbiamo riscontrato che, nel settore delle produzioni indipendenti, il tema ambientale è ancora poco trattato e riscuote parecchio interesse. Ci piacerebbe che il nostro lavoro stimoli e spinga altre realtà emergenti come la nostra a muoversi in questo campo.
D) Come vi state autofinanziando?
Noi siamo nati grazie al meccanismo di crowdfunding. Lo sperimentammo con Tomorrow’s land e rispetto ad allora oggi molte più persone lo conoscono, rappresenta veramente una nuove frontiera. Per noi è estremamente importante la coproduzione collettiva, non solo perché offre ai gruppi emergenti l’opportunità di fare cinema in un momento molto difficile per il settore in questo paese. Il crowdfunding offre anche indipendenza, un fattore fondamentale per chi vuole realizzare un’inchiesta. Infine, prendiamo in considerazione alcuni effetti secondari: con il crowdfunding si innescano dei meccanismi virtuosi per cui è possibile condividere un dibattito, scambiare opinioni, ottenendo un valore aggiunto altissimo. Poter discutere, in fase di produzione e montaggio, del proprio film tramite forum online o in occasioni pubbliche legate alla promozione del video permette di approfondire tematiche e risolvere perplessità che sono anche nostre.
D) Qual è la vostra visione della green economy alla luce di questa esperienza?
R) Al momento siamo influenzati dai casi che abbiamo raccontato, la sensazione è che non sempre sia tutto trasparente. Il nostro augurio è che le storie che raccontiamo siano eccezioni e non la norma. È necessario riflettere sul rapporto etica e profitto: quanto questi nuovi processi produttivi sono davvero sposabili con l’esigenza di business? È qui che si annida la contraddizione. Se si mette a punto una strategia a filiera e a grappolo per la produzione di energia su un territorio in maniera chiara e trasparente è la benvenuta, ma se c’è una sovrapproduzione energetica – che non è immagazzinabile nemmeno dalle reti nazionali – viene spontaneo chiedersi perché una grande azienda investa in un’operazione apparentemente antieconomica… Nel caso di Camugnano, perché installare pale eoliche in una zona dove non c’è vento, quando esistono già altre soluzioni energetiche? Pensiamo al caso dell’Amiata: è una delle falde acquifere più grosse del centro Italia. La realizzazione delle centrali geotermiche sta inquinando l’acqua. Abbiamo ripreso le fontane pubbliche su cui sono appesi i cartelli “acqua non potabile”. C’è qualcosa che non va…A nostro avviso, la mancanza di un piano strategico chiaro in questo ambito provoca una disorganizzazione che consente dei coni d’ombra. Una buonissima occasione, se gestita nel modo sbagliato, rischia di diventare un boomerang: nessuno ha il coraggio di dichiarare che una centrale a carbone sia meglio di una ad energia eolica, ma dipende come quest’ultima è stata realizzata. Senza contare il fatto che una sovrabbondanza di produzione energetica comporta anche una serie di impatti secondari sull’ambiente e sulla salute delle persone.
Daniela Falchero