Da punto di partenza a punto di arrivo, come cambiano i rifugi di montagna
Una volta c’erano gli alpinisti, che si muovevano per percorsi impervi e che dopo ore di scalata e esplorazione estrema cercavano riparo in un rifugio. Oggi sono gli escursionisti, che cercano, scoprono, leggono la natura e la cultura della montagna, abbandonando la sfida e il rischio a favore di un’avventura più moderata, bella e intensa ma forse più “facile”.
Così il rifugio cambia ruolo. I rifugi delle Alpi sono strutture di fine ’800 e sono la prima forma di turismo e accoglienza delle nostre montagne. In origine unico punto di partenza di percorsi più o meno controllati, oggi sono un migliaio o forse più (non esistono stime attendibili) e risultano invece essere meta di arrivo delle escursioni di un’utenza nuova, che vive la montagna “in trasversale” e non solo in verticale come faceva chi la arrampicava. ”In trasversale, ci spiega Egidio Bonapace, presidente dell‘Accademia della Montagna del Trentino, perché chi arriva oggi in un rifugio cerca l’identità della montagna, la testimonianza del gestore, i gusti tipici e i paesaggi mozzafiato, nel tentativo di scoprirne l’essenza a 360 gradi”.
Esigenze diverse quindi rispetto alle originali, che mettono parzialmente in discussione il concetto di rifugio alpino e di cui si discuterà durante il convegno internazionale “Rifugi in divenire” organizzato a Trento il 22 e 23 marzo dall’Accademia della Montagna.
“Cosa sono i rifugio alpini?” si legge nell’invito al convegno. “Punti d’appoggio a bassa quota per alpinisti, struttura di ospitalità per i turisti della montagna o manufatti incustoditi che ricevono la visita di pochi temerari alpinisti in un anno?” Saper leggere le trasformazioni in corso o già avvenute è indispensabile per poter rispondere alla domanda attuale e per far vivere qualcosa che rischierebbe di diventare museo del passato: “oggi il servizio richiesto è meno spartano – continua Bonapace, che è anche gestore di un rifugio – più confortevole e attrezzato; ma non può snaturare il concetto primordiale di queste strutture, che oltre a dare ospitalità sono anche espressione di identità e cultura nella forma in cui sono state concepite”. Per questo le trasformazioni vanno monitorate e le soluzioni discusse.
Stanze piuttosto piccole e in condivisione come sempre, dunque, ma che garantiscono acqua, che rispettano le normative sulla sicurezza, che si rinnovano a livello tecnologico (basti pensare al nuovo Bivacco Gervasutti presentato da Greenews.info al Workshop IMAGE 2011).
Se l’attenzione alla sostenibilità delle strutture è da sempre priorità dei gestori e dei territori – che da tempo lavorano per l’eliminazione dei generatori a gasolio, per la produzione di energia pulita, per la differenziazione e il riciclo dei rifiuti – oggi il problema che si pone riguarda però la ristrutturazione vera e propria degli edifici di montagna. Aggiornare e riqualificare i servizi offerti, ma senza perdere la condivisione, l’appartenenza e l’essenza.
Come farlo? È meglio ristrutturare o demolire e ricostruire gli edifici di montagna? Integrarli nell’ambiente o costruire strutture avveniristiche “staccate” dalla montagna, come sue protesi? E’ questo il dilemma che sarà affrontato durante il convegno con i rappresentanti delle regioni che si affacciano sulle Alpi e nelle tre mostre aperte fino al 28 marzo, che indagano l’evoluzione degli edifici costruiti in alta montagna. La prima, a cura dell’associazione Cantieri d’Alta Quota ONLUS, intitolata “Rifugi alpini ieri e oggi” si concentra sull’evoluzione storica dei rifugi che costellano le Alpi dalla Francia alla Slovenia; la seconda presenterà i 24 progetti presentati al concorso bandito nella Provincia di Bolzano nel 2012 per la ristrutturazione dei 3 rifugi di Ponte di Ghiaccio, Vittorio Veneto al Sasso Nero e Pio XII; la terza intitolata “Abitare minimo nelle Alpi” espone progetti per la realizzazione di una cellula minima, autonoma, reversibile, dedicata al ricovero temporaneo in alta quota.
“È il primo confronto internazionale organizzato su questa tematica, ci dice il presidente dell’Accademia, e l’obiettivo è quello di elaborare delle linee guida, un codice comune di riferimento a livello alpino”. La situazione al momento è abbastanza eterogenea: se in Svizzera si tentano costruzioni futuristiche, del tutto nuove e innovative, in Italia la tendenza è quella di ristrutturare l’esistente, nonostante sia la soluzione più dispendiosa e spesso problematica, andando avanti nel progresso, per esempio con la banda larga e i bacini di raccolta dell’acqua, ma mantenendo la struttura tradizionale, che nei territori e per la gente di montagna ha fatto la storia. “È necessario garantire l’accessibilità alle strutture, la soddisfazione dei bisogni di chi viene, che deve arrivare bene informata e riconoscendo la differenza tra un albergo e un rifugio ma a cui deve essere offerto un servizio adeguato”.
Alfonsa Sabatino