Centrali nucleari nell’anello di fuoco: il Giappone non insegna all’Asia
A seguito dell’aggravarsi della situazione in Giappone pubblichiamo il resoconto della nostra corrispondente dall’Indonesia, Marcella Segre, che ha raccolto i piani di sviluppo nucleare dei paesi asiatici.
Lo tsunami in Giappone e i conseguenti rischi di incidente nelle centrali nucleari del paese hanno scatenato dibattiti sulla legittimità di questa fonte energetica in tutta l’Asia, il continente attualmente maggiormente in espansione dal punto di vista economico e demografico.
Specialmente nel sud-est asiatico, le ferite dello tsunami del 2004 e dei continui recenti terremoti sono ancora fresche e, appunto, talmente regolari, che stupisce il fatto che molti paesi abbiano in programma la costruzione di centrali nucleari per soddisfare la crescente domanda energetica.
Come riporta Simon Tay, il direttore dell’Istituto per gli Affari Esteri di Singapore, sono infatti molti i paesi asiatici che hanno intrapreso progetti di energia nucleare per assicurarsi sicurezza energetica.
Sopra tutti la Cina, che sta velocizzando i progetti di costruzione di centrali nucleari, soprattutto nelle zone meridionali e a Guangdong. In Cina ci sono già 13 reattori attivi che forniscono circa 11 gigawatt di energia. Per ora non ci sono stati incidenti gravi, ma e’ capitato che ci fossero degli sversamenti, come a Shenzhen l’anno scorso – e il controllo dell’informazione da parte del governo ovviamente non rende facile l’accesso ai dati reali. In futuro, la Cina prevede oltretutto di ampliare la produzione di energia nucleare fino a 40 giga watt entro il 2020.
Nel sud-est asiatico, anche il Vietnam, l’Indonesia e la Thailandia si stanno volgendo verso l’energia nucleare, mentre la Malesia eSingapore si dicono aperti alla possibilità di farne uso. Ma nessuno di questi paesi ha precedenti esperienze nella generazione di energia nucleare su una scala quale quella cinese. I progetti dei paesi del sud-est asiatico sono perciò di taglia minore, ma si basano su una tabella di marcia molto veloce.
Il Vietnam si e’ impegnato a costruire due centrali entro il 2021, la prima con l’aiuto della Russia e la seconda proprio del Giappone. Ma ci sarebbero altre otto centrali in progettazione.
La Thailandia si prepara alla costruzione della prima centrale nucleare, che dovrebbe essere pronta nel 2020.
Anche l’Indonesia ha in progetto la costruzione di una centrale nucleare per ovviare i frequenti blackout causati dalla mancanza di elettricità dovuti a una domanda energetica in continua crescita. L‘Indonesia, per altro, si trova nel cosiddetto Anello di Fuoco ed e’ quindisoggetta a forti terremoti che possono scatenare tsunami.
Chalid Muhammad, dell’Ong Indonesia Green Institute, ha dichiarato che l’83% dell’Indonesia e’ soggetta a catastrofi ambientali come i terremoti e gli tsunami e che per ragioni di sicurezza il governo dovrebbe concentrarsi sullo sviluppo di centrali energetiche che sfruttino fonti di energia rinnovabile come ad esempio le centrali geotermiche. Centrali più piccole, che sarebbero in grado di soddisfare la domanda energetica interna e che sono molto più sicure delle grandi centrali.
La visione del governo indonesiano e’ però molto diversa. A livello legislativo sono state approvate delle misure che preparano all’avvento del nucleare e sono state svolte delle analisi territoriali preliminari per individuare la zona adatta ad ospitare una centrale. Tra le opzioni ne sono state selezionate due in particolare: la penisola di Muria a Giava Orientale e la provincia di Bangka Belitung.
In risposta alle polemiche sulla sicurezza e sul fabbisogno energetico, Hudi Hastowo, il direttore dell’Agenzia Nazionale Indonesiana per l’Energia Atomica, con base a Batam, in un’intervista al Jakarta Post rilasciata dopo gli eventi che hanno scosso il Giappone ha dichiarato che l’energia nucleare e’ una delle soluzioni migliori per risolvere il problema della penuria energetica nel paese e che e’ necessario proiettarsi vent’anni avanti e pensare a come soddisfare la domanda energetica in aumento, diversificando e sfruttando tutte le fonti energetiche a disposizione, compresa quella nucleare.
In un momento in cui si opera per accogliere i profughi e per rimpatriare gli indonesiani dal Giappone, i cittadini si pongono tuttavia legittime domande su eventuali radiazioni che potrebbero propagarsi nel resto del continente, mentre ancora migliaia di persone sono senzatetto a Sumatra a causa dei violenti terremoti dell’anno scorso e ancora si accusano i danni dello tsunami del 2004. Il governo, questa l’accusa, sta dunque impegnando risorse altrimenti impiegabili per sviluppare improbabili programmi nucleari quando, come sostiene Simon Tay, paesi soggetti a terremoti come l’Indonesia dovrebbero considerare maggiormente i problemi legati alla sicurezza. A maggior ragione se si tiene conto che in questi paesi manca del tutto quella cultura della sicurezza che avrebbe potuto salvaguardare meglio il Giappone, ma che ha comunque evitato al paese il caos totale.
Marcella Segre