Carni sostenibili: la “Clessidra Ambientale” riabilita le filiere bovine, suine e avicole
Presentato ieri presso l’Expo Gate di Milano, il rapporto “La sostenibilità delle carni in Italia” voluto da Assica, Assocarni e UnaItalia, le tre principali associazioni italiane di categoria delle filiere della carne bovina, suina ed avicola, vuole raccontare il punto di vista dei produttori sul tema della sostenibilità sotto diverse chiavi di analisi: nutrizionale, ambientale, economica e sociale.
Negli ultimi anni, infatti, il consumo di carne è diventato oggetto di attenzioni e dibattiti soprattutto per quel che riguarda i temi nutrizionali ed ambientali. Proprio in questo contesto, un gruppo di operatori del settore zootecnico ha dato avvio, nel 2012, al progetto “Carni sostenibili” con l’obiettivo di supportare studi solidi da un punto di vista tecnico e scientifico e partecipare, in modo costruttivo, al dibattito. Il punto di arrivo di questo percorso è rappresentato dal documento presentato ieri, che segue il lavoro pubblicato nell’aprile 2013. La novità proposta è il modello della “Clessidra ambientale”, un approccio grafico e tecnico del tutto innovativo che illustra il rapporto tra equilibrio nutrizionale e tutela dell’ambiente.
Qualche precisazione è d’obbligo. La valutazione degli impatti ambientali di un processo può essere trattata attraverso differenti metodologie. Tra tutte, l’Analisi del Ciclo di Vita (Life Cycle Assessment o LCA), regolata a livello internazionale dallo standard ISO 14040, è quella che ha riscosso il maggior interesse, negli ultimi anni, perché tiene conto di tutti gli aspetti della filiera prevedendo lo studio di tutti i passaggi, a partire dalla fase agricola (che sta alla base di tutti gli alimenti), per terminare con il trasporto e la distribuzione e, quando necessaria, la fase di cottura. Per rendere facilmente comprensibili e comunicabili i risultati degli studi LCA vengono utilizzati degli indicatori di sintesi che consentono di rappresentare, in modo semplice e aggregato, gli impatti ambientali. Nel caso delle filiere agroalimentari, gli impatti ambientali considerati “significativi” sono le emissioni di gas serra, l’utilizzo di acqua, e il territorio utilizzato per produrre le risorse.
La Clessidra Ambientale prende in considerazione il Carbon Footprint, o impronta carbonica, che calcola l’impatto in termini di emissione di anidride carbonica equivalente (CO2eq). Nel calcolo del Carbon Footprint vengono considerate, cioè, le emissioni di tutti i gas a effetto serra, il cui contributo è determinato da due fattori: la quantità emessa e il suo fattore di impatto misurato in termini di Global Warming Potential. Le emissioni, infatti, vengono tutte convertite in un valore di CO2 equivalente, come se dal sistema fosse emessa solo CO2, attraverso parametri fissi definiti dall’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, organismo che opera sotto l’egida delle Nazioni Unite. Per la sua semplicità in termini di comunicazione e comprensione, questo è l’indicatore più usato nelle attività di divulgazione pubblica, nonostante l’utilizzo di un unico indicatore porti ad una visione parziale degli effetti globali del sistema sull’ambiente.
Indipendentemente dalle regole di calcolo e dagli indicatori selezionati, è evidente come la carne si collochi tra gli alimenti con più alto impatto ambientale per unità di massa. Questo è dovuto alla struttura stessa della filiera che è piuttosto articolata e, per questo motivo, gli impatti sono generalmente tra i più alti nel mondo alimentare. In primo luogo, a differenza dei prodotti di puramente origine agricola, per produrre carne è necessario un “doppio passaggio”: prima si coltiva il foraggio, che viene dato in pasto agli animali per produrre proteine. Un secondo aspetto, rilevante soprattutto nella filiera bovina, è rappresentato dagli impatti della fattrice (la mamma dei vitelli), allevata unicamente allo scopo di partorire vitelli. Inoltre, anche la gestione delle deiezioni e alle fermentazioni enteriche, generando metano, comportano un impatto significativo soprattutto in termini di effetto serra.
Fino ad oggi, le pubblicazioni che hanno trattato dell’impatto delle filiere agroalimentari e, più in generale, dell’effetto che l’alimentazione di un individuo causa sull’ambiente, hanno sempre proposto i risultati in termini assoluti, cioè in termini di impatto per chilogrammo di alimento. Attraverso la Clessidra Ambientale, invece, viene suggerito un nuovo approccio per valutare l’impatto della dieta sulla base della quantità realmente consumata da una persona nell’ambito di una dieta corretta ed equilibrata da un punto di vista nutrizionale. Infatti, se si mette in relazione il Carbon Footprint degli alimenti con le quantità consigliati dai nutrizionisti si può osservare come il carico ambientale sia sostanzialmente equivalente per le varie tipologie di alimento.
La Clessidra Ambientale è nata, grazie al supporto tecnico di Life Cycle Engineering, proprio seguendo questo approccio: moltiplicando l’impatto ambientale degli alimenti per le quantità settimanali suggerite dalle linee guida nutrizionali INRAN (oggi CRA-NUT) più recenti e disponibili, che prendono a modello la dieta mediterranea, i risultati sono sorprendenti e mostrano come mangiare carne in giusta quantità non comporti un aumento significativo dell’impatto ambientale. Seguendo il giusto modello alimentare, infatti, l’impatto medio settimanale della carne risulta allineato a quello di altri alimenti, per i quali gli impatti unitari sono minori, ma le quantità consumate decisamente maggiori.
Dai dati emerge che, in un modello alimentare equilibrato che segue la dieta mediterranea, l’impronta carbonica dovuto agli alimenti fonti di proteine è pari a 7,5 kg di CO2 equivalente (14 porzioni settimanali), in linea con quello di ortaggi e frutta che arriva a 6,7 kg di CO2 equivalente (35 porzioni settimanali).
In conclusione, mangiare carne in quantità corrette non comporta necessariamente un aumento significativo dell’impatto di un individuo sull’ambiente, tanto più se si tiene conto degli effetti, spesso decisamente maggiori, legati a tutte le altre scelte che possono caratterizzare uno stile di vita sostenibile, quali ad esempio la mobilità o i consumi di energia.
Elisabetta Redavid*
* Fiduciaria condotta Slow Food di Torino