Bistagnino (PoliTO): “Ripensiamo l’economia con il design sistemico: zero rifiuti e più benessere”
“L’output di un sistema è l’input di un altro. Se così non è, significa che qualcosa non funziona”. Luigi Bistagnino, docente del dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, è uno dei principali studiosi di design sistemico, quel modo di progettare l’economia come un sistema di sistemi, una rete di soggetti legati da relazioni e flussi di materia ed energia. In cui, come vuole la famosa legge di Lavoisier, tutto si trasforma, ma niente si distrugge.
Il modello della rete ci circonda da sempre: la natura è un grosso network, e anche il nostro cervello funziona come una rete; Internet non ha fatto altro che traslare, in ambito digitale, un modello già collaudato. Un modo di operare che, come provano le ricerche del gruppo guidato da Bistagnino, può portare risultati significativi anche a livello economico: uno studio condotto sull’Alta Val Sangone, in Piemonte, (presentato giovedì scorso all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo durante la conferenza “Systemic Food Design: an holistic approach to reduce energy and raw materials consumption“) dimostra che, trasformando quell’area in ottica sistemica si otterrebbe un aumento del giro d’affari del 635%, passando dai 4,9 milioni di euro attuali a 36 milioni, con un aumento dell’occupazione del 35%. E i milioni potrebbero diventare 41 se si considerassero anche le 26 nuove attività che potrebbero nascere, dalla fitodepurazione alla produzione di detergenti, dall’artigianato della lana alla maltazione.
In concreto, le diverse attività economiche cooperano tra loro, con un beneficio per tutti: attraverso un ripensamento dell’uso della superficie agricola della valle (oggi in buona parte destinata al pascolo), per esempio, si potrebbero produrre localmente il 100% di frutta, verdura, carne bovina e latticini, attualmente per la maggior parte provenienti da fuori. Gli scarti agricoli e i reflui zootecnici potrebbero essere l’input per la produzione di energia rinnovabile. Dall’agricoltura potrebbero venire materie prime locali per molte attività economiche, dalla gelateria al panificio, che oggi usano rispettivamente il 20% e lo 0% di prodotti locali.
D) Professor Bistagnino, che cosa si intende di preciso per design sistemico?
R) Si tratta di un nuovo modo di affrontare il progetto, i processi produttivi e ottenere prodotti sostenibili. L’output di un sistema è l’input di un altro. Si progettano i flussi di materia e di energia che fluiscono da un sistema all’altro, tendendo a zero emissioni, concretizzando un nuovo modello economico-produttivo, generando una comunità fortemente relazionata e connessa consciamente al proprio territorio. Oggi il 60-80% delle risorse di input di un processo produttivo diventa prodotto – che a fine vita va spesso in discarica – mentre il restante 20-40% è costituito da scarti ed emissioni atmosferiche. Nel modello sistemico che proponiamo, non esistono scarti, ma solo materia non usata in un sistema, che diventa risorsa per un altro. Tutti i materiali hanno lo stesso valore, tutti i sistemi valgono uno e sono fortemente interconnessi: è un legame solido, che non si basa sulla finanza, ma sulle relazioni, e genera un’economia durevole.
D) Il vostro studio della Val Sangone ha preso in considerazione 24 attività economiche, risultando particolarmente innovativo per l’ottica che guarda non solo al sistema, ma al sistema dei sistemi. Come lo avete condotto?
R) Lo studio è il risultato di un lavoro di tre anni, che ha coinvolto altri docenti, ricercatori, oltre a 200 studenti, ed è stato oggetto di due tesi di laurea. Abbiamo scelto la Val Sangone perché è una valle molto ben collegata al resto, vicina alla Val di Susa carica di criticità, ma senza grosse vie che la attraversano. Alla ricerca hanno partecipato molti partner del territorio, mentre le valutazioni economiche sono certificate da Deloitte, soggetto esterno che ne assicura la validità. Abbiamo già fatto studi simili su aree di Messico, Francia e Paesi Baschi e siamo impegnati in una ricerca sul quadrante Nord Est di Torino, per applicare il modello anche a un contesto metropolitano. Stiamo lavorando con associazioni di categoria, enti locali, artigiani e agricoltori per far sì che le nostre indicazioni diventino realtà. Abbiamo già messo a punto un disciplinare per regolare le relazioni tra i diversi soggetti economici: è lungo appena quattro pagine e l’adesione è volontaria.
D) Quali sono i risultati che l’hanno stupita di più?
R) Sono rimasto molto sorpreso dalle ricadute economiche, pazzesche. Lo studio ha analizzato 24 attività, che se venisse applicato un approccio sistemico potrebbero generarne altre 26, mettendo in moto un giro d’affari enorme.
D) L’ambiente come ne beneficia direttamente?
R) La creazione di un sistema dei sistemi migliora i rapporti e il territorio: in un sistema fortemente interconnesso, tutti hanno cura dell’ambiente. In una società simile, non si investe più sul territorio, ma su un modo diverso di fare impresa. L’ambiente è il frutto di ciò che facciamo: se produciamo senza generare rifiuti ed emissioni, per esempio, non c’è poi bisogno di spendere per bonifiche o attività di depurazione.
D) Come si monitora un sistema simile? Immagino che il PIL non sia adeguato…
R) Il fine di un’economia progettata in modo sistemico non è la crescita, ma lavorare bene, ottenere benessere e posti di lavoro. Il PIL è assolutamente inadeguato: cosa può dirci un indicatore che cresce quando ci sono disastri e terremoti? Il nostro è un approccio culturale diverso, che ha cura delle cose che fa. La nostra cultura oggi è erede del riduzionismo cartesiano, tutto viene ricondotto ai soldi, mentre noi rivendichiamo di un approccio sistemico, dove non esistono marginalità e al primo posto ci sono le relazioni.
Veronica Ulivieri